giovedì 20 agosto 2015
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L’Esposizione Universale svolta a Parigi nel 1900 ha avuto un costo pro capite di sei volte maggiore al ricavo dei biglietti di entrata. Fu un vero disastro sul piano economico. Quella di Hannover del 2000 ebbe un terzo dei visitatori previsti. Un disastro sul piano del bilancio sono ritenute praticamente tutte le edizioni dell’Expo Universale. È stato così anche nelle varie edizioni svoltesi nella Mecca del capitalismo, come per esempio a New York nel 1939 o in Louisiana nel 1984. Non c’è Esposizione Universale che non sia stata un aggravio per l’economia del Paese ospitante. Oggi si parla di «scarsi risultati economici » di Expo 2015. Una tonalità dal suono assai specioso. Date le passate esperienze, nessuno poteva realisticamente aspettarsi che se ne sarebbero tratti vantaggi economici immediati. Ma poi siamo sicuri che l’Expo si scelga e si organizzi per trarne vantaggi economici di breve respiro? Dal 1851 le varie Expo succedutesi nei continenti e nei decenni hanno segnato qualcosa di diverso e più prezioso. Sono state pietre miliari di un cammino di civiltà accompagnato dall’evoluzione della tecnica e dell’industria. Perché la civiltà e la cultura sono fatte anche di tecnologia. Basti ricordarsi che Gutenberg fu ai suoi tempi un grande tecnologo e la “stampa” contemporanea, ovvero Internet, è a sua volta uno dei più raffinati risultati del settore Ricerca & Sviluppo.  Nella loro persistente incapacità di generare profitti economici, le Expo sono molto simili ai musei. Per quanto ci si impegni a vendere gadget, associare alle esposizioni permanenti eventi eclatanti, il bilancio tende a mantenersi sul rosso. La cultura, la ricerca scientifica e tecnologica sono sempre un costo: non a caso prosperano solo quando vi sono mecenati favorevoli. Il grande rinascimento fiorentino è in buona parte frutto della Banca dei Medici, e in particolare dell’impegno di Cosimo il Vecchio, che finanziò il Concilio di Firenze del 1439, la quasi contemporanea realizzazione della cupola brunelleschiana e diede impulso all’imponente lavoro di traduzione dei classici greci che sarà compiuta da Marsilio Ficino.  Sul piano economico queste opere sembrano non avere alcuna efficacia. Sembrano: nella misura in cui si valuta l’economia di un’impresa con la visione miope tipica di parametri ossessivamente basati sui risultati a brevissimo termine e sulla bramosia di guadagno. Ma quali sono i risultati di eventi e impegni di valore culturale sul lungo periodo? Chi può valutare con esattezza che cosa avrà rappresentato Expo per il nome che Milano e l’Italia hanno nel mondo? E quali saranno gli effetti di questa reputazione sulle potenzialità dell’esportazione italiana e sulla forza di attrazione di quel che si chiama “Sistema Paese” sul piano turistico, imprenditoriale, finanziario?  Salisburgo, e in gran parte anche Vienna, campano della gloria di un compositore che visse squattrinato al punto che fu gettato in una fossa comune quando morì non ancora trentaseienne. Ma le esecuzioni delle sue sonate e delle sue opere hanno arricchito generazioni di musicisti il cui talento solo uno sciocco paragonerebbe al suo, attivato flussi miliardari nelle casse di produttori musicali, di aziende discografiche e di impresari teatrali, a decenni, a secoli dalla sua scomparsa. Sul breve periodo Mozart evidentemente non “valeva” molto, sul lungo periodo è divenuto una fonte inesauribile di ricchezza. Non sarà che c’è qualcosa di sbagliato nel modo di concepire i bilanci e le prospettive economiche, soprattutto quando si parla di fatti rilevanti per la cultura?
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