martedì 15 dicembre 2015
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L’embrione selezionabile e congelabile, deriva eugenetica La Consulta ha, dunque, stabilito con la sentenza 229 depositata lo scorso 11 novembre 2015, che non è reato selezionare gli embrioni nei casi in cui la pratica sia finalizzata a evitare l’impianto di quelli affetti da gravi malattie trasmissibili. La questione di costituzionalità era stata sollevata dal tribunale di Napoli, dopo che un gruppo di medici era stato rinviato a giudizio con l’accusa di effettuare selezione genetica e sopprimere gli embrioni affetti da patologie. In rapporto a precedenti sentenze della Corte, quest’ultimo pronunciamento non sorprende in quanto si colloca nell’orizzonte di un crescente indebolimento dei diritti del concepito. E ciò comporta una deriva apparentemente inarrestabile verso l’eugenetica. La base di questo processo è la convinzione di tanti che l’embrione possieda meno diritti di chi è già nato: l’embrione non ha la tutela assoluta che gli spetta in quanto persona. Durante i lavori preparatori della Dichiarazione universale dei diritti dell’uomo, talune delegazioni proposero che il diritto alla vita fosse inteso dal concepimento sino alla morte naturale, ma la proposta non passò. Forse anche per questo in molti Paesi i criteri impiegati nei tribunali e nelle Corti costituzionali per gestire i problemi bioetici sono l’autodeterminazione (dell’adulto), la non discriminazione (tra adulti), il diritto alla salute (dell’adulto): a ciò si accompagna un silenzio preoccupante sull’embrione, vera res nullius e oggetto a disposizione, sebbene sia evidente che selezionare gli embrioni costituisca una violazione grave del principio di non-discriminazione. La condizione di debolezza dei diritti del concepito è tale che taluni hanno preso atto con qualche soddisfazione per il fatto che la Corte ha 'salvato' quelli sovranumerari destinandoli alla crioconservazione. Inviterei a riflettere su ciò che ormai tanti considerano una procedura banale: il congelamento indefinito dell’embrione che lo blocca nello stadio iniziale dell’esistenza. In realtà è un atto di violenza (violenza tecnologica e 'bianca', ma violenza estrema), perché nega alla radice un diritto umano molto più fondamentale di altri, e in specie dei diritti di libertà dell’adulto: intendo il diritto naturale incoercibile del concepito di svilupparsi e di nascere. Questo aspetto non sembra più turbare la nostra Corte costituzionale, che nella sentenza 96/2015 non ha ritenuto di prendere in considerazione i diritti dei concepiti in esubero. La Corte ha pareggiato situazioni non paragonabili: nel caso in questione, la soppressione tramite aborto del feto malato da un lato e l’intervento di selezione embrionale per impiantare solo quelli sani dall’altro, tralasciando ogni considerazione sugli altri embrioni creati nel processo di fecondazione artificiale. Dunque, almeno indirettamente la Corte sembra ritenere che l’embrione sia un 'signor nessuno'. Si tratta di questioni in cui il primo passo consiste nello stabilire la realtà delle cose o il loro statuto, prima ancora che il lecito e l’illecito che seguirà di conseguenza. Occorre comprendere quanto ci sta dinanzi, e ciò vale in specie per l’embrione umano: persona o grumo di cellule? Non si può rispondere a questa domanda se non con una determinazione di vero-falso o di sì-no. La risposta comporta conseguenze incalcolabili tra cui, nel caso del sì, il ripensamento del criterio di bilanciamento tra diritti diversi cui la nostra Corte ricorre con frequenza; stupisce che la consapevolezza di ciò non sembri diffusa. Se l’opinione prevalente sarà che l’embrione è un ammasso insignificante di cellule, l’esito sarà la produzione artificiale della vita umana, la selezione eugenetica, il congelamento protratto, l’attribuzione degli embrioni in esubero alla ricerca con conseguente distruzione. Inoltre la tecnica entrerà profondamente nell’ambito geloso dello sbocciare della vita umana individuale e in quello della relazione primaria e univoca genitore-figlio, già compromessa dalla fecondazione eterologa. Bisognerà pur prendere atto che affidarsi senza discernimento alla tecnica comporta un grave rischio. Essa conosce le regole di produzione di oggetti, non le norme dell’agire ossia le norme entro cui debbono interagire i soggetti, mentre sono proprio queste che servono.
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