mercoledì 9 febbraio 2011
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Quanti ne mettiamo a disposizione? Un miliardo basterà? Stiamo larghi: 4 miliardi e 300 milioni di indirizzi. Saranno sufficienti...». E invece è andata proprio come i "signori di Internet" nemmeno potevano immaginare quando trent’anni fa gettarono le prime fondamenta della rete digitale che oggi impacchetta il pianeta in un flusso inesausto di bit. L’impetuosa crescita della fame di comunicazione ha reso non più sufficiente persino quell’immensa somma di codici identificativi dei computer allacciati al Web – i miliardi di indirizzi "IP" –, progressivamente cresciuta fino a una cifra che ora segna anche il virtuale limite di "capienza" di Internet. La mole degli allacciamenti alla rete sta portando all’esaurimento delle scorte di recapiti. Ma non c’è motivo di alimentare catastrofismi: non siamo vicini a quello che in America è stato definito il giorno dell’«Apocal-IPs», giocando sulla sigla dell’«Internet Protocol». L’ente non profit che dirige il traffico sulla rete – l’Icann – ha già predisposto l’adeguata contromisura: in tre decenni la tecnologia ha saltato di slancio tutti gli ostacoli creati dal suo stesso sviluppo, e ora si accinge a consentire l’immissione sul mercato di un numero ancor più prodigioso di indirizzi, grazie alla compressione digitale con la quale è possibile ampliare all’infinito lo spazio sul Web (salvo restare intrappolati nell’imbuto dei cavi di connessione, ormai intasati). Si crea spazio per chiunque voglia accedere, connettersi, farsi conoscere, contribuire all’intelligenza distribuita online. Chi bussa per ottenere un recapito non chiede infatti di assistere a uno spettacolo allestito da altri: vuole dire la sua, montare la propria bancarella di idee e contenuti, all’affannosa ricerca di qualcuno interessato ad alimentarsene. Per effetto di questa formidabile e crescente domanda di condivisione – che ha dato origine alla tumultuosa stagione del "Web sociale", ben lungi dall’esaurirsi – la rete ha esteso e ramificato le aree di interesse imponendo una seconda svolta ormai prossima: specularmente alla crescita di codici IP, a breve le autorità regolatorie di Internet dovrebbero infatti offrire la disponibilità di un numero potenzialmente indefinito di "domìni", ovvero le estensioni che integrano e classificano gli indirizzi dei siti Web. Ai suffissi nazionali (come «.it») e tematici («.com») si stanno per aggiungere sigle che corrispondono a settori merceologici (si pensa a «.music»), interessi personali, politici o culturali (da «.sport» «.eco», ma si attende anche l’introduzione di «.love») fino alle aziende, ciascuna col proprio nome. Pagando 185 mila dollari all’Icann si potrebbe registrare pressoché qualunque dominio. Tanto che è riaffiorata la proposta – circolata tempo fa, con qualche incipiente polemica – di aggiungere ai nuovi domìni del Web anche un indistinto recinto religioso sotto la precaria tettoia della sigla «.god», ovviamente con la minuscola, come si addice a tutti gli indirizzi Internet. Questa divinità digitale in coda a un recapito elettronico dovrebbe garantire il contenuto religioso del sito, selezionando il pubblico dei fruitori e concentrando una ricerca che si fa sempre più faticosa negli abissi della rete. Ma nessuna autorità del Web oggi è in grado di assicurare che al «.god» faccia riscontro quel che la confezione promette: lo spirito iper-relativista di Internet scoraggia alla radice il principio di autorità, nega quasi ogni forma di selezione dei contenuti, inorridisce davanti a qualsiasi remoto sentore di "censura". Il Dio del Web promette di essere quel che sta già scritto: una caricatura minuscola. È proprio necessario?
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