sabato 6 marzo 2010
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Caro direttore, mi sono formato in un’adolescenza-gioventù che affondava le sue radici nel movimentismo degli «indiani metropolitani» o nelle battaglie radicali per i diritti civili o per la liberalizzazione delle droghe leggere. Erano più o meno passati 10 anni dal mitico ’68. Conosco bene quale inganno terribile e temibile (per l’uso che spinge a fare della propria vita) sia nascosto dalla narcisistica esaltazione dell’io e della libertà svincolata dalla Verità (che per lorsignori non esiste). Eppure resto veramente basito nel vedere in quale confusione sia ridotto il vecchio stato maggiore radicale: i superbi sempre più «dispersi nei pensieri del loro cuore». Associatisi alla compagine degli ex-comunisti, dei giustizialisti e dei legalisti e legulei di ogni risma, compagni di strada sempre pronti a guardare la pagliuzza altrui ma a dimenticare la propria trave, eccoli ergersi a paladini della legalità. Non della Legalità (con la maiuscola), attenzione, ma del legalismo formalista e burocratico, che dimentica che la legge è fatta per l’uomo e non l’uomo per la legge. Eccoli attaccarsi all’assenza o alla presenza di un timbro di forma diversa da quella prevista, o all’assenza di una data o del luogo di una firma (anche quando il luogo sarebbe facilmente desumibile) per impedire la partecipazione di alcune liste alla competizione elettorale. Sorrido se penso alla canzone di Gaber, che scopro essere anche il nome di un’associazione radicale ligure: «Libertà è partecipazione!». Ci vuole una bella faccia tosta per affermarlo a parole dopo che, nei fatti, si dimostra il contrario. Il rispetto della legge è una cosa troppo seria per essere ridotto a questo; ma a questo lo si cerca di ridurre, oggi, in questa povera Italia, troppo spesso incapace di guardare in alto e schiava del proprio (basso) ventre. Il resto (fanfaroni, pasticcioni, imbroglioncelli, portaborse del sottobosco politico) sta lì a mostrare cosa è l’uomo, che non cambia né cambierà mai al cambiar di partito o di parte politica. Guardare in alto... Volare alto... sia nei valori che nelle cose da fare, sembra quasi impossibile, parole al vento: metà campagna elettorale è già scivolata via sull’ennesimo 'niente'. E questo silenzio, subdolo, sui programmi, nasconde il recondito sogno dei nemici della Chiesa: arrivare lassù, di riffa o di raffa, per fare del Lazio il laboratorio di tutti gli zapaterismi e i conformismi anticristiani.

Vincenzo Topa, Napoli

Diranno magari, caro Vincenzo, che c’è troppa passione in quel che scrive e un 'di più' di allarme. Io credo, invece, che ci sia soprattutto esperienza diretta e un comprensibile grado di indignazione. Condivido molto, non tutto. So, infatti, che bisogna valutare bene il progetto di Pannella, Bonino e compagni, e tuttavia non bisogna sopravvalutarlo. So che la tattica radicale è, da sempre, anche quella di insediarsi nell’elettorato e nel sentimento politico altrui (a sinistra o a destra, a secondo delle stagioni), e vedo che nell’ultima sua evoluzione 'romana' e 'laziale' propone un mellifluo tentativo di accaparramento addirittura di quei valori cattolici che da decenni avversano in modo militante. Tutto, come lei dice, «per arrivare lassù, di riffa o di raffa». Ma non hanno ragione né popolo, e noi – che pure nessuno consideriamo interlocutore impossibile – ai politici radicali ragione non possiamo e non vogliamo dare. Se hanno davvero popolo, lo dimostrino.
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