venerdì 7 maggio 2010
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La crisi europea in corso è molto grave, ma se siamo arrivati a questo livello non è certo per responsabilità della Grecia, le cui irregolarità contabili inventate per aderire all’euro erano ormai pubblicamente riconosciute e ricordano semmai quelle dell’untorello di manzoniana memoria: il debito pubblico greco è pur sempre un sassolino rispetto all’enorme stock del debito pubblico europeo.«Non sarai tu quello che spianti Milano», diceva il monatto rivolgendosi a Renzo nel colmo del contagio, ma i tempi cambiano e oggi le agenzie di rating, moderni monatti della finanza, non dimostrano altrettanta trasparenza e responsabilità nel formulare giudizi che spesso sono causa di eventi globali che spostano ricchezze enormi. Eppure la storia recente non depone certo a loro favore: quando la crisi finanziaria è esplosa alla metà di settembre del 2008, il rating di Lehman Brothers, il cui fallimento ha scatenato il panico nei mercati, è stato declassato dai valori massimi a quelli spazzatura nel giro di un paio di giorni. Per queste ragioni uno dei punti qualificanti dei nuovi standard globali della finanza, tanto necessari quanto finora disattesi, dovrebbe essere quelle di rendere trasparente e pubblico il modello teorico ed empirico che sottende a simili decisioni.Le agenzie di rating rischiano di diventare da untorelli dei veri e propri untori, perché vale per i mercati ciò che Keynes teorizzava per le «gare di bellezza» in cui un giudice vince se indovina chi sarà la più bella della gara e non chi ritiene personalmente la più bella. La crisi greca ha messo in movimento un effetto domino che nel passato recente ha caratterizzato Paesi meno sviluppati, ma che negli ultimi due anni si è propagato alle nazioni più avanzate, facendo vacillare la stabilità economica degli Stati Uniti e dell’Europa. Il germe del contagio è partito stavolta dalla Grecia, ha cominciato a diffondersi in Portogallo, Irlanda, Spagna, Gran Bretagna e ora lo si vorrebbe in viaggio per l’Italia. L’ultima asta dei titoli di Stato italiani è stata aggiudicata con successo, nonostante la grande difficoltà del momento, ma ugualmente qualcuno ha osservato come il volume della domanda non fosse di molto superiore all’offerta.Il rapporto fra debito pubblico e Pil da noi è aumentato per il semplice motivo che il Pil è diminuito, come è accaduto in tutti i Paesi dell’Ocse e come è avvenuto con regolarità in tutte le grandi crisi finanziarie degli ultimi due secoli. Il disavanzo pubblico del 2009 è intorno al 5%, inferiore a quello registrato in Francia e negli Stati Uniti, la situazione dei conti pubblici è sotto controllo e per il 2010 non si prevedono peggioramenti, nonostante il ritardo dell’economia italiana nell’agganciare la ripresa mondiale. Un peggioramento dei giudizi sulla solidità finanziaria italiana da parte delle agenzie di rating, anche se priva di fondamenti obiettivi, potrebbe tuttavia trasformare in realtà una valutazione puramente soggettiva, perché per i singoli investitori è razionale cercare di anticipare il mercato, indipendentemente dalle loro convinzioni. È così che profezie evanescenti si materializzano in un concreto conto da pagare, sotto forma di maggiori tassi d’interesse.Una vera riforma del sistema finanziario internazionale è urgente, ma nel frattempo è anche necessario ristabilire rapidamente la verità dei fatti, oltre che regole e interventi economici perché chi specula sugli umori dei mercati abbia il concreto timore di perdere anziché guadagnare.
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