martedì 13 gennaio 2009
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Caro Direttore,notizia del giorno con titoli giornalistici: «Milano, decisione del giudice: domiciliari al parco». Spiegano le cronache che un 35enne – fermato per furto – ha trascorso su una panchina anche la notte di Natale, perché i suoi genitori «non l’hanno voluto a casa». Che genitori degenerati! A caldo mi è sembrata una notizia che non faccia onore a uno Stato civile, ma in breve mi sono ricordato che proprio la magistratura, da qualche anno, vuol far passare il principio che i genitori debbano «mantenere» i figli incapaci di provvedere a sé. Anzi: di provvedere bene! E mi sono ricordato di un fatto letto qualche mese fa: un signore di 36 anni, ingegnere, ha avuto il coraggio (o la faccia tosta?), di convocare il padre davanti ai giudici per farlo «condannare» a mantenerlo. E gli fu resa giustizia velocemente, se non erro. In quest’epoca in cui tanto si battaglia per una necessaria riforma del diritto, mi sembra che quest’ultimo non sia uguale per tutti, come si vuol far credere, e ciò è messo in evidenza in ogni aula. Poveretto costui che s’è dato da fare per mantenersi (rubando, che non è un mestiere da tutti!) ed è incarcerato, a congelare sulla panchina di un parco... Che il nuovo anno faccia il miracolo di riportare in vita la signora Giustizia? O dobbiamo aspettare la fine dei tempi?

Mario Grosso

Dalla sua ironia, caro Grosso, traspare chiaramente lo spaesamento che certi paradossi del sistema giudiziario inducono nel comune cittadino, nella persona non «addetta ai lavori», nell’uomo della strada che fatica a cogliere e ad apprezzare le sottigliezze dei codici e del garantismo. Sottigliezze i cui esiti (cioè sentenze) fanno spesso a pugni con la logica e col buon senso, rischiando di alimentare un pericoloso senso di estraneità rispetto allo Stato di diritto, che resta comunque il presidio della libertà di tutti e di ognuno. Per quanto riguarda il caso specifico di Milano, ormai da molto tempo l’orientamento giuridico della Corte di Cassazione è che il dovere, da parte dei genitori, di mantenimento (quindi anche di cura e di assistenza) dei figli non cessa col raggiungimento della maggiore età di essi: infatti, i figli maggiorenni, ma che non sono economicamente indipendenti, hanno ugualmente diritto a essere mantenuti dai loro genitori, i quali devono provvedervi in base alle proprie disponibilità economiche, come recita la legge. Ne consegue che il genitore che non intende più badare ai figli maggiorenni deve dimostrare che essi svolgono un’attività lavorativa che permette loro di essere economicamente autosufficienti, attività fra le quali non rientra – presumo – il furto. La cosa può non piacere, ma è così. È anche vero però che dei genitori possono opporsi a quest’obbligo quando dimostrino che il figlio non esercita alcuna attività lavorativa per sua colpa: per esempio per l’ingiustificato rifiuto di proposte di lavoro decorose (e anche il rubare non è certo la migliore credenziale per poi trovarlo, un impiego). Ma qui si entra, come si può ben immaginare, nel campo dell’opinabile, ed è compito del togato sbrogliare il pasticcio. Concludendo: non è sano né utile screditare una giustizia che per essere giusta non necessariamente deve coincidere con le aspettative del senso comune. D’altro canto, una riforma profonda – che tuteli i diritti individuali ma anche l’oggettivo risarcimento delle parti lese – è ormai d’obbligo: i magistrati non possono continuare a vivere nella turris eburnea dei codicilli, alieni alla realtà come gli «azzeccagarbugli» di manzoniana memoria. Ma sui problemi più grandi di una riforma la rimando all’ottimo editoriale di prima pagina a firma del professor Cesare Mirabelli.
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