mercoledì 20 agosto 2014
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Caro direttore, c’è un popolo dolente che bussa alle porte dell’Europa, un flusso di natura straordinaria con circa 100mila sbarchi registrati dall’inizio dell’anno, molti molti di più rispetto all’anno precedente. Si tratta in larghissima parte di persone arrivate su improbabili natanti salpati dalle coste libiche, con l’intenzione di chiedere asilo. Vengono soprattutto dall’Eritrea, dalla Siria e dalla Somalia, con una minoranza proveniente dai Paesi dell’area saheliana. Registriamo con preoccupazione un notevole aumento di minori non accompagnati, di età compresa tra i 14 e i 17 anni, principalmente dall’Eritrea, dalla Somalia e dall’Egitto. Dopo tanti anni di inerzia e inutili polemiche, l’operazione Mare Nostrum rappresenta una prima risposta, voluta e finanziata solo dall’Italia, di cui essere orgogliosi. Le polemiche che si sono riaccese nelle ultime ore e certe perduranti inerzie nell’Unione Europea non possono mettere in questione questo dato di realtà.
Per non limitarci a soluzioni emergenziali e trovare un’alternativa alla via del mare soprattutto a favore dei richiedenti protezione internazionale, l’Alto Commissariato per i Rifugiati invita gli Stati europei a essere creativi. Trovo pienamente condivisibile l’idea che il senatore Manconi ha proposto su queste colonne lo scorso 30 luglio 2014, e cioè un piano per l’ammissione umanitaria nell’Unione Europea che permetta alle ambasciate Ue di esaminare le domande di protezione internazionale (anche temporanea) direttamente nei Paesi di origine o di transito dei flussi, in modo da evitare la via del mare. Tale meccanismo potrebbe essere particolarmente utile in Paesi di transito come Marocco, Etiopia, Egitto o Sudan. Restano solo problemi di attuazione, legati all’esigenza di riformare la normativa sulla protezione internazionale. Per realizzarsi, tuttavia, tale proposta richiede un negoziato e un accordo europeo. Richiede, quindi, tempo. In attesa che «l’Europa torni ad avere una coscienza del tragico» come diceva Jacques Delors e agisca, l’Italia può già fare qualcosa per ridurre il flusso di coloro che tentano la via del mare.
 
Credo occorra favorire immediatamente le richieste di ricongiungimenti familiari dei rifugiati riconosciuti dall’Onu, da sottoporre alla nostra rete consolare. In questo caso si può agire in maniera rapida, applicando i trattati e i regolamenti comunitari in modo estensivo per offrire garanzie e ridurre i viaggi della morte. Il nostro Paese potrebbe immediatamente consentire il ricongiungersi di rifugiati Onu con parenti fino al 3° grado, fratelli, zii e nipoti, regolarmente residenti in Italia, a fronte di una fideiussione o di una sponsorizzazione privata.
 
Si tratta di un’azione che può essere realizzata rapidamente, ridurrebbe significativamente le pericolose traversate soprattutto di Eritrei, Somali, Maliani ed Etiopici che sarebbero i gruppi di rifugiati che più s’avvantaggerebbero di questa disposizione. L’Italia conquisterebbe il primato morale della Ue sul tema che potrebbe trascinare la revisione dell’azione dell’Unione. Non sarebbe una forzatura ma l’applicazione in modo corretto, secondo le richieste del Parlamento europeo, del regolamento Dublino III, privilegiando il criterio della riunificazione familiare così come espresso dalla Corte di giustizia europea.
A cento anni dalla prima guerra mondiale, noi europei dobbiamo a chi fugge dai conflitti lo stesso trattamento che abbiamo faticosamente conquistato per noi stessi. È compito dell’Italia, in questo semestre europeo, promuovere l’attuazione solidale in maniera creativa di tutte le disposizioni dei trattati in materia di frontiere, immigrazione, asilo e integrazione dei migranti. Per l’Europa sarebbe inutile ergersi a paladina dei diritti dell’uomo lontano da casa, se non sa metterli in pratica sotto casa sua.
*Sottosegretario agli Esteri
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