sabato 16 aprile 2011
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Si aggira uno spettro avvelenato per l’Italia (e nel mondo), quello del doping. Sono anni che, da queste colonne, ci sgoliamo per dire basta, per sostenere e promuovere la cultura di uno sport pulito. Abbiamo riportato le voci di esperti di livello nazionale e internazionale, medici, farmacologi, allenatori, dirigenti, atleti: vittime e pentiti dello sport. Lo abbiamo fatto con la passione di chi ama l’attività sportiva, per amore di verità e per evitare che nei campi di gioco ci si trovi a dover contare morti e feriti come su un terreno di battaglia. Non lo abbiamo fatto per alimentare il veleno polemico, né come allenamento al gossip, così diffuso anche in questa materia, in cui ci si dimentica troppo spesso che la posta in palio, prima della vittoria e del denaro (che scorre a fiumi), è innanzitutto la salute degli atleti, di qualsiasi età. Un occhio di riguardo, naturalmente, lo abbiamo sempre avuto per le nuove generazioni, le più a rischio, come di recente ha denunciato proprio su Avvenire il consulente italiano dell’Agenzia mondiale dell’antidoping ( Wada), Sandro Donati. Purtroppo, i Donati disposti a collaborare su questo fronte sono mosche bianche. Il rischio, a parlare, è di compromettersi pesantemente, mettendosi contro il "sistema". Quel sistema che, quando si accorge che il tappo della borraccia sta per saltare, incomincia a prendere le distanze, ad alimentare il "terrorismo", a inasprire le pene contro i "peccatori" del doping...Possono essere lette anche così le nuove sfuriate del Palazzo del ciclismo che promette 4 anni, e non più solo 2, a chi sgarra con le sostanze e le pratiche illecite, aggiungendo addirittura la radiazione per i tecnici e i dirigenti sobillatori compiacenti dell’atleta dopato. Ma tutto questo, curiosamente, accade come in una crono, nei tempi giusti, a distanza ravvicinata dal prossimo Giro d’Italia (e a seguire del Tour de France) e soprattutto sulla scia di un gruppo compatto di inseguitori della giustizia: gli agenti dei Nas, da mesi sulle tracce dei colpevoli e che ora si apprestano ad agguantarli.Gli uomini del Nucleo anti sofisticazione stanno scalando, dall’Etna alle Alpi, e corrono in discesa a forte velocità per arrivare a una verità che tra non molto farà assai rumore. In ballo c’è il solito 'medico stregone', un italiano, il dottor Michele Ferrari, che continua a lavorare in laboratorio e a promettere l’elisir di lunga durata in gara a tutti quelli che hanno la bontà di raggiungerlo, tra la via Emilia e la Svizzera.Si annunciano nomi e cognomi roboanti, fatti e misfatti acclarati. Un polverone, ma che potrebbe servire finalmente a fare un po’ di vera pulizia. Come al solito, però, si corre il rischio che l’urgenza di giustizia provochi soprattutto una spettacolare onda giustizialista, fomentata da chi si accorge sempre in ritardo – un po’ come l’antidoping – che ormai le forze maligne che braccano lo sport sono andate un passo più in là. E così quello che, se preso in tempo, sarebbe stato un semplice neo, è ormai diventato un cancro diffuso che è partito dal ciclismo, ma solo perché lì si è voluto procedere – con continue biopsie e con test a sorpresa incrociati sangue-urina – per trovare davvero la fonte originaria del male.Il timore, reale, è che tutto lo sport, senza esclusioni, stia subendo quello che Donati ha definito «medicalizzazione degli sportivi». Atleti giovani e sani sottoposti alle medesime terapie dei malati terminali.Come nel caso dell’Eritropoietina (l’Epo) – che da anni si iniettano ciclisti, sprinter e maratoneti per superare i propri limiti – che viene somministrata ai malati di Sclerosi laterale amiotrofica, la Sla. È una delle tante, troppe, assurdità dell’attuale sistema sportivo, contro le quali continueremo a batterci, perché crediamo fortemente in uno sport e in un mondo puliti.
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