La nuova escalation in Siria
mercoledì 21 febbraio 2018

Il vaso di Pandora ha cominciato a riaprirsi. Era evidente che la miopia nel gestire il dopo-Daesh e l’incapacità di riavviare un tavolo negoziale credibile sulla Siria, a seguito della netta vittoria militare del regime di Damasco, avrebbero congiurato per scoperchiarne uno nuovo, e ancor più pericoloso. E ora rimaniamo a guardare annichiliti dai rischi di escalation e dalla difficoltà a comprendere i complicati contorsionismi di alleanze e contro alleanze che si stanno dipanando sul martoriato territorio siriano.

Le forze corazzate turche stanno stringendo in una morsa Afrin, che le milizie curde dell’Ypg – considerate come terroristi da Ankara – non sono in grado di difendere. A dare man forte ai curdi, appoggiati dagli Stati Uniti, si sono mosse ora colonne militari dell’esercito regolare siriano, appoggiate da Iran e Russia, formalmente nemici sia dei curdi sia – soprattutto – degli americani. La risposta turca non si è fatta attendere, con pesanti bombardamenti che segnalano la determinazione di un Erdogan che pare non temere più nulla e nessuno.

Una mossa - quella di Assad - che rischia di mandare in corto circuito tutte le alleanze in quello scacchiere, sempre che queste siano ancora dotate di senso strategico. Siriani, iraniani e russi sono allo stesso tempo su fronti opposti e de facto alleati con Washington. Vediamo un Paese Nato come la Turchia muoversi spesso contro gli interessi occidentali, sfidando apertamente l’Amministrazione Trump e flirtando con Mosca; ma allo stesso tempo in rotta di collisione con gli alleati russi sul territorio. Ossessionati da un estremismo anti-iraniano che compiace Arabia Saudita e Israele, gli strateghi statunitensi si ritrovano sempre più vicini ai movimenti sunniti eredi dei gruppi qaedisti nel Levante.

Insomma, una confusione strategica che frantuma ogni fronte e crea divisioni dentro le singole fazioni. E che rende quasi impossibile mappare le aspirazioni dei singoli attori e le loro reali percezioni di minaccia. Ossia, i due elementi di base da cui partire per costruire un possibile scenario geopolitico. Se la Turchia dovesse continuare con la mano pesante contro le milizie Ypg e i loro alleati arabi, cosa faranno i consiglieri militari Usa che quelle milizie contribuiscono ad addestrare e armare? E come si comporteranno verso le forze siriane e le milizie sciite che stanno soccorrendo i curdi? Quelle stesse forze di cui Washington ha ordinato il bombardamento giorni fa, rischiando di alzare il livello di scontro con la Russia.

Ora, in questo confuso corpo a corpo fra troppi contendenti, si rischia di rimanere invischiati nel tatticismo del momento, perdendo di vista l’obiettivo vero che tutti si devono porre. Ovvero, smettere di rosicchiare qualche chilometro di territorio siriano pensando di ottenere chissà quale rafforzamento, per riavviare la macchina diplomatica internazionale. Occorre avere il coraggio di riaprire un tavolo a cui devono sedersi tutti gli attori presenti senza pre-condizioni e preclusioni. Il che significa da parte occidentale accettare l’ovvietà dei fatti, ossia che Iran e Russia devono far parte della soluzione del problema siriano, non possono essere escluse per compiacere qualche Stato mediorientale. Da parte iraniana serve invece smettere di sostenere incondizionatamente un dittatore feroce e impresentabile come Assad, limitando le provocazioni contro arabi sunniti e israeliani. La Turchia non può negare che i curdi abbiano voce in capitolo nel dopo Daesh, mentre questi ultimi devono superare le divisioni interne e frenare le loro ambizioni territoriali.

Per quanto impervia e scivolosa, la ripresa di una forte azione diplomatica internazionale è l’unica alternativa al rischio di una nuova esplosione incontrollata di violenza, dalle conseguenze imprevedibili e comunque disastrose. Con la consapevolezza politica che vi è chi soffia sul fuoco e spinge all’estremismo, e con quella umanitaria che chi paga il prezzo maggiore - ogni giorno e in modo atroce - non sono i politici e i generali, ma la popolazione siriana, di ogni fede e etnia, uccisa da bombardamenti e scacciata dalle proprie case. Chi mai renderà conto dei morti, delle donne che piangono figli e mariti uccisi, delle famiglie sospinte verso l’esilio e i campi profughi, dell’odio seminato a piene mani fra comunità che condividono da sempre quel territorio?

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