La nostra povera e splendida speranza: portare Lui per aprire le porte chiuse
sabato 30 novembre 2019

Caro direttore,
«Timeo Dominum transeuntem et non revertentem»: ho paura che il Signore passi e non abbia più a ritornare. Così si esprimeva sant’Agostino in una delle sue omelie. Il tempo di Avvento è come se, alla fin fine, rimettesse sempre questa questione al centro della nostra attenzione, con i toni di un’occasione che non possiamo perdere, perché potrebbe non tornare. Di quale occasione si tratta? Nella tradizione ambrosiana queste settimane sono dedicate alla benedizione delle case. Ogni giorno si ripete, e non una sola volta, la medesima scena: suoni il campanello, senti il rumore dello spioncino della porta all’interno della casa che si apre per vedere chi è e poi il silenzio totale. Neppure il tempo fugace di un "Non mi interessa".
L’occhio spia, ma la mano non apre. A differenza delle altre volte, però, nelle quali vinceva la delusione e un po’ di insofferenza, quest’anno, per quello che vedo e vivo, davanti a quel silenzio in me sorge una domanda: "Ma perché mai dovrebbero aprire?". A ben vedere, infatti, la novità non sta nel fatto che uno dica "no", ma che uno dica "sì". Lo stupore per quel "sì" è l’unico in grado di vincere tutti i "no" nei quali tendiamo a nasconderci. E motivi per dire "no" ce ne sono molti. Qualcuno, per esempio, potrebbe dire: "Perché dovrei aprirti adesso, se è un anno che non ti vedo? Non ti vedo nei luoghi che frequento, nelle sfide che affronto, nella confusione del mondo. Anzi a volte mi sembra di vederti più confuso degli altri. Non porti la Presenza di Colui di cui ho bisogno, non annunci l’Atteso che toglie la falsa tranquillità del cuore. Hai iniziato a dire le cose che dicono tutti, a giudicare la realtà come la giudicano quelli che non hanno fede, a non indicare più la Novità che è entrata nella storia. Perché mai dovrei aprirti ora?". Solo se «timeo Dominum transeuntem» sarà possibile che uno smetta di spiare e inizi a guardare e preferisca aprire uno spiraglio piuttosto che il silenzio tombale. Che Dio suoni per noi la sveglia!
don Simone Riva, Cinisello Balsamo (Mi)

Sono diversi – a volte apparentemente diversissimi – i motivi per cui non si aprono sempre le porte, proprio come i porti e, prima ancora, come i cuori. Eppure è verissimo, caro don Simone, che quei motivi, in realtà, sono uno solo: non portiamo abbastanza Cristo.
Per timidezza, per quieto vivere, per disincanto o per cedimento agli incantamenti e agli incantatori del nostro tempo. E perché facciamo fatica a riconoscere il volto e la carne di Gesù là dove Lui stesso ci ha insegnato a vedere e ad amare Dio (Mt 25, 31-46). Se ci incamminiamo su questa via o su di essa ci lasciamo spingere a mani vuote e a occhi chiusi rischiamo e non solo di dire le cose "di successo" che dicono (o provano a dire e magari a gridare) tanti, ma addirittura finiamo per lasciare che mettano in bocca a Cristo le cose che piacciono ai signori del mondo e non quelle che Lui dice e ci dice. Qualcosa come uno stentoreo "date a Cesare quel che è di Cesare", ma dimenticando il "date a Dio quel che è di Dio".
O come "Il Signore ci ha detto di amare, sì, ma solo fino a un certo punto…" o ancora come "Il Signore ci dice di preoccuparci del prossimo, cioè del vicino di casa…". Già, noi cristiani cominciamo dal vicino di casa, e non ci dovremmo fermare più… Eppure porte e cuori restano chiuse e chiusi, persino davanti agli uomini delle benedizioni, i nostri preti. Singolare e amaro adeguarsi allo spirito del tempo in questi anni in cui, nei più diversi campi e forse come mai prima, godono di inspiegabile fortuna i maldicenti.
Ma i cristiani sono e restano gli uomini e le donne del sì. Grazie, caro e reverendo amico, per avercelo ricordato, per aver "suonato la sveglia". Perché i cristiani sanno e non possono dubitare che il Figlio che ci è stato dato e che di nuovo viene non è "transeunte", non passa e va, lasciandoci soli. Basta che lo vogliamo. Basta che non lo siamo, soli. Basta che sappiamo essere uniti, anche appena in due, nel suo nome. Lì ricomincia sempre a comunicarsi tutta la forza mite e grande del Dio Bambino e del Figlio Crocifisso, e la nostra povera e splendente speranza.



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