Il baratto di Putin, la vittoria di Netanyahu. E l'Iran fuori gioco
domenica 8 dicembre 2024

Dieci giorni sono bastati a spazzare via, con Bashar el-Assad, tredici anni di guerra, i 54 anni del regime della famiglia Assad e a ribaltare tutti gli equilibri del Medio Oriente. E disegnare un altro scenario, ieri, nella nuova Yalta di Doha in Qatar per spartirsi il bottino di guerra. Da lì bisogna partire per capire che cosa succederà adesso, chi ha vinto e chi ha perso. Il “dittatore suo malgrado”, nato come oftalmologo con studi in Gran Bretagna e tornato in patria dopo la morte dell’ingombrante padre "Leone di Damasco", ha dominato con il sangue ovunque in tredici anni di guerra civile. Ha stretto e rotto alleanze per restare in sella e soprattutto lo è rimasto solo grazie a un patto con il "diavolo" russo: Putin.

Ed è stato proprio lui a farlo cadere, così come lo aveva tenuto in piedi per tutti questi anni. Ha dato il via libera al mastino di guerra Erdogan che non vedeva l’ora di accrescere il suo potere nella regione, dimostrare quello in cui non avevano mai creduto gli europei e in parte gli americani. Ha restaurato le truppe (chiamiamole così per comodità) jihadiste di Hayat Tahrir al-Sham, che sono scese dal nord e sono arrivare alle porte di Damasco mentre Bashar el-Assad saliva su un aereo diretto probabilmente a Mosca o forse a Teheran. Se Erdogan si può considerare il vincitore di facciata, di fatto a far più clamore è il tonfo degli ayatollah: in un mese hanno perso Beirut e Damasco. Due denti di quella tenaglia con la quale erano convinti di poter stritolare Israele come mai erano riusciti a fare in passato.

La Mezzaluna Sciita ora è a pezzi. In Siria ci resteranno, con le propaggini di Hezbollah con gli uomini penetrati nel Mukabarat, i servizi di Assad. Manterranno una fetta (sempre più insignificante) nella torta che è stata tagliata a fette ieri in Qatar. Dovranno rassegnarsi a lasciare nelle mani di Vladimir Putin l’amministrazione dei propri affari in Siria. Sì, perché in fondo anche se non lo appare, Vladimir Vladimirovic resta dalla parte dei vincitori. Mantiene il tanto fondamentale sbocco sul Mediterraneo con le basi di Tartus e Latakia e potrà riscuotere in futuro la cambiale che Israele (e per lui gli americani, non si capisce ancora se più di Biden che di Trump o viceversa) gli hanno firmato. Infatti Netanyahu, in pochi giorni si è liberato delle seconda spina nel fianco, questa volta orientale rispetto a quella settentrionale costituita dagli sciiti di Hezbollah. Infine Teheran: dovrà suo malgrado capitolare, riporre nel cassetto il sogno di minacciare fisicamente da vicino Israele. Sconfitto militarmente, continuando a minacciare ritorsioni su Tel Aviv, di fatto è stato ricacciato a Oriente. In cambio di che cosa il colpo ferire è stato evitato? Qualcuno sussurra che lo si scoprirà tra mesi, forse un anno quando un forte terremoto sarà registrato dai sismografi in una zona desertica della Persia: sarà la prova che anche gli ayatollah avranno il loro Little Boy, diventando una nuova potenza nucleare. Scenario futuristico, forse di fantapolitica. Come fantapolitica sembrava la caduta dei regime dei Leoni e leoncini di Damasco quando il resto del Medio Oriente andava in fiamme.

L’assetto finale della Siria lo si scoprirà presto: nel nord i turchi potranno finire il lavoro portato avanti da anni contro i curdi, al sud i russi manterranno lo sbocco sul mare e l’Iran ridotto a miti consigli dovrà segnare il passo. Vero sconfitto, per ora, del Great game kipliniano della regione. Ma nel Grande gioco che in questi giorni si è evidenziato manca ancora un tassello, anzi due. In tutto questo che cosa ci guadagna Biden, o meglio Trump? Qual è la merce di scambio voluta da Putin per “lasciare fare” e fingere di bombardare i jihadisti che calavano sulla via di Damasco? La pace in cambio di una pesante fetta di territorio, che si chiami Crimea o Donbass, è ormai abbastanza evidente. Putin perde da una parte e guadagna dall’altra. Gli americani restano governatori della situazione mediorientale con però meno peso, i russi minacceranno l’Europa più da vicino ma per il momento senza affondare il coltello. Ci guadagneranno i produttori di armi che armeranno sempre più un’Unione Europea. E ci guadagnerà, infine, il vero vincitore di questa ultima battaglia: il tanto criticato Benjamin Netanyahu. Alle porte di casa ha ormai un altro nemico “governato” se non domato.

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