giovedì 9 febbraio 2012
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Gentile direttore, tranne una breve parentesi in una materna gestita da suore, dalle scuole elementari al dottorato ho frequentato solo scuole pubbliche statali, trovando sempre negli insegnanti e nei professori competenza, umanità e passione per l’insegnamento. Questo per dirle che, secondo me, la sbandierata superiorità dell’educazione religiosa semplicemente non esiste e che la "libertà educativa" è solo uno slogan, visto che la scuola pubblica statale assicura, a chi lo desidera, anche l’insegnamento della religione cattolica.
Raffaele Ferro
Caro direttore, provo grande stima per il presidente del San Tomaso di Correggio, che ha scritto la bella lettera pubblicata ieri su Avvenire, e provo anche grande simpatia per i due bravi genitori protagonisti dell’episodio riferito. Detto questo, occorre secondo me sempre chiedersi anche un’altra cosa: rispetto al sincero trasporto educativo ed etico di chi affronta anche la necessità di pagare una retta pur di inserire un figlio in una scuola non statale, non ci potrebbe anche essere il contraltare di coloro che, per status, per un elemento di esclusività, perché ci va anche il figlio dell’avvocato, dell’assessore o del magnate delle cliniche private, o magari solo per comodità di parcheggio, scelgono di iscrivere il figlio a una scuola non statale, pagando volentieri la retta, certamente, ma infischiandosi di ogni aspetto educativo ed etico? È proprio la necessità di conciliare le finalità educative con le esigenze di bilancio (fra l’offerta e la domanda, alla fine) che immagino renda molto delicato e difficile il compito di chi dirige le scuole non statali.
Sandro Merendi - San Lazzaro di Savena (Bo)
Nessuno, certo non io, «sbandiera» alcunché a proposito di una qualche «superiorità» della scuola cattolica. Non è mai stato questo il piano del discorso, centrato su altri concetti: libertà, qualità, pari opportunità... E sono convinto che lei, gentile signor Ferro, da persona assai informata, lo abbia presente. Come penso che lei si renda conto che un po’ troppo spesso alcuni (né pochi né senza potere mediatico e politico) sbandierano l’esatto contrario, arrivando a contestare il principio che la libertà educativa della famiglia debba essere rispettata e sostenuta e dunque, in concreto, arrivando purtroppo a osteggiarla. È uno dei problemi del sistema pubblico di istruzione del nostro Paese. Che può per fortuna contare anche sul contributo, in diversi casi garantito ormai con grande sacrificio, dalle scuole cattoliche all’insegna appunto di un’offerta formativa di notevole «qualità». Frutto, questo, di una lunghissima tradizione e di continuo aggiornamento. I cattolici, infatti, hanno sempre contribuito (e contribuiscono) pure in Paesi non di prevalente cultura cristiana a istruire la cosiddetta classe dirigente, ma sono anche e soprattutto – giova ricordarlo – gli inventori dell’idea stessa di una scuola di popolo e per il popolo. E vengo a lei, caro signor Merendi. Può essere che ci siano genitori che – sbagliando di grosso – considerano la frequenza di una scuola non statale o proprio di una scuola cattolica solo una sorta di affermazione di status per sé e per i propri figli, ma non mi sembra un rischio esclusivo delle scuole non statali. Sappiamo benissimo, infatti, che anche tra le scuole statali esistono "classifiche" e "rating" assegnati a torto o a ragione. Noi ci battiamo per una scuola di livello aperta a tutti, con standard fissati dalla legge, aderente ai grandi valori della nostra Costituzione. Una scuola davvero di tutti, promossa non solo dallo Stato ma sussidiariamente anche dalla società, una scuola che sia efficacemente a servizio dei bambini e dei giovani e nella quale diventi possibile un pieno riconoscimento di ruolo sia di chi ci insegna sia delle famiglie che a essa si rivolgono.
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