martedì 22 giugno 2010
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Caro direttore,la presunzione dell’Occidente di possedere verità e giustizia è smentita ogni giorno. In Italia due dottrine ispirate da principi diversi finiscono per coincidere: razzismo e femminismo. Una donna ricca massacra e uccide il proprio figlio. Resta libera. Il processo dura anni. Perizie e controperizie. La donna appare in programmi tv a recitare la parte della madre addolorata e innocente. La perizia stabilisce che è sana di mente. Dopo molto tempo è condannata a 16 anni. Solo dopo la pronuncia della Cassazione entra in carcere. Un immigrato marocchino, uomo onesto e laborioso, sorprende la figlia in auto a far sesso con un uomo, circostanza questa mai rivelata dai media. Sconvolto come padre e credente la uccide. Subito arrestato. Dopo un anno è condannato all’ergastolo. Il pubblico ministero, donna, chiede due anni di isolamento, non concessi dalla Corte. Nessun principe del foro si è scomodato a difendere il reprobo. Due pesi e due misure. Ingiustizia è fatta con il plauso delle donne libertarie.

Giabir al-Ghazali

I due casi ai quali lei, gentile lettore, si riferisce sono simili, ma niente affatto identici. E, soprattutto, non sono leggibili in chiave ideologica. Il primo – riguardante il "delitto di Cogne" – è tormentoso e tormentato, ha imposto un faticoso iter di accertamento delle condizioni oggettive e soggettive arrivando poi a un giudizio conclusivo. Il secondo – relativo a un drammatico evento consumatosi a Pordenone – è stato subito contrassegnato dalla piena e incontestabile flagranza del delitto. Tralascio volutamente ogni altra considerazione: tutti i fatti di sangue hanno un’eloquenza tragica e travolgente, in particolar modo in una cultura come la nostra che – nonostante perdite di tensione e di attenzione – ha al suo fondamento il senso dell’intangibile e preziosa unicità di ogni essere umano, figlio di Dio. Tuttavia non posso fare a meno di farle notare che, in forza di quei dati di realtà che ho succintamente richiamato, è del tutto improprio e ingiusto comparare le due terribili vicende secondo presunte logiche donna-uomo e ricca-povero. E non mi pare inutile ricordare come la madre italiana poi condannata sia finita – anche con la collaborazione sua e di coloro che l’hanno assistita – negli impietosi ingranaggi di un processo mediatico che ha aggiunto un sovrappiù di pena e ha letteralmente e pubblicamente sconvolto la vita di almeno due famiglie: quella segnata direttamente dall’omicidio e quella di origine della donna. Considero tutto questo una tragedia ulteriore nella tragedia già insopportabile dell’uccisione di un bimbo.Chiarito questo – e dunque non condividendo affatto il suo approccio anti-femminile, signor al-Ghazali – non ho difficoltà a dirle che capisco il suo sconcerto per tempi e riti dell’attività giudiziaria in questo nostro Paese. Non per nulla, da tempo, anche noi di Avvenire invochiamo una «svolta» nel segno della «giustizia giusta». Che per essere tale ha bisogno di dimostrarsi sempre «uguale per tutti» e tempestiva. Mai insidiata dalle ombre del pregiudizio. Mai tentata dalla sommarietà. La legge degli uomini è imperfetta, e proprio per questo nessuna persona, in nessuna circostanza, può pretendere di giudicare della vita e della morte mettendosi al posto di Dio.
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