martedì 30 dicembre 2008
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Caro Direttore,ritengo giusta e sacrosanta l’ira del sindaco di Roma Alemanno per l’autista di bus che, guidando drogato dalla cocaina (in orario di servizio!), ha ucciso un pedone. Ma si doveva arrivare al morto? Chiunque viaggi sui mezzi pubblici sa che ci sono autisti che corrono, incuranti dei passeggeri e di altro. Sono solo spericolati o hanno in corpo qualcosa che li rende tali? E che fine fanno i nostri reclami, ai quali l’Atac non risponde mai, e se lo fa è inviando una risposta standard (da almeno cinque anni sempre lo stesso testo)? Soprattutto, quei reclami vengono presi in considerazione? Direi di no, perché certi autisti li si continua a vedere in servizio e continuano a correre. E allora, il sindaco Alemanno chieda all’Atac di render conto una volta per tutte di questi suoi comportamenti, perché lo scaricabarile deve finire. E le chieda di rendere pubblico, oltre al nome dello sciagurato, se eventualmente già esistevano reclami a suo carico e se erano mai stati presi in considerazione. I cittadini sono stufi di pagare, di tasca loro, lo stipendio a gente simile.

Francesca Gavelli

Purtroppo il tragico episodio di Roma non è il primo del genere. Le cronache ricordano che già in altre circostanze autisti messisi alla guida in stato psicofisico alterato da sostanze hanno causato sinistri con conseguenze nefaste. In questo caso però deve far seriamente riflettere il fatto che la persona in questione – le cui generalità sono peraltro note, così come il curriculum «professionale» (richiami sul lavoro, intemperanze in servizio con reclami da parte dei passeggeri) – fosse un dipendente pubblico, o meglio dipendente di un’azienda pubblica incaricata di servizi essenziali come i trasporti, strettamente connessi alla sicurezza dei cittadini; un’azienda, quindi, che dovrebbe avere come massimo imperativo etico quello dei controlli più severi. Ma evidentemente così non è, se un fatto tanto grave è potuto accadere. D’altra parte è ben chiaro che non si può imputare all’Atac un clima di irresponsabilità e di perniciosa faciloneria che ha radici ramificate, molto più estese, complice anche una legislazione che resta lettera morta, inosservata: la legge imporrebbe, in teoria, agli autisti pubblici il test periodico per il consumo di stupefacenti, consumo divenuto oggi una vera e propria piaga sociale, diffusa in ogni censo e ambiente. A ciò si aggiungano i colpevoli ritardi della politica: da troppo tempo un decreto specifico è fermo nei cassetti del Parlamento. Ecco allora tracciato il quadro generale di un’irresponsabilità che risulta spaventosamente capillare. Certo il luttuoso accaduto di Roma una scossa (speriamo non effimera) pare averla data: il sottosegretario con delega alle Tossicodipendenze Carlo Giovanardi ha chiesto «controlli periodici»; Alemanno ha reclamato dall’azienda romana dei trasporti «controlli a tappeto»; il management della Trambus ha convocato da parte sua i sindacati (che troppo spesso sono portati a giustificare i lavoratori «a prescindere») per avviare una campagna di prevenzione dell’uso di alcol e droghe fra gli autisti. Ma l’esigere la sacrosanta fine delle impunità non ci deve esimere dal sapere che regole e regolamenti non possono, in sé, bastare ad arginare un problema che è ben più profondo, perché è culturale, avendo a che fare con la mentalità edonistica dilagante, presa a modello dalla moltitudine. Stando alle cronache, quel giovane autista (che si è detto addolorato per quanto accaduto e ha espresso cordoglio alla famiglia dell’ucciso) stava finendo il turno e stava accingendosi (a modo suo) a trascorrere la notte in discoteca. Oggi, lo «sballo» è divenuto una cosa «normale». Questo, davvero, ci deve aprire gli occhi, e mobilitare.

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