lunedì 11 giugno 2012
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Girando fra Carpi e Finale Emilia e Mirandola, una cosa colpisce il cronista che va a raccontare il terremoto: quanto spesso le tende sono state alzate accanto a una chiesa, e nei giardini degli oratori. Come se naturalmente gli sfollati si ritrovassero attorno a quello che dei paesi è il cuore; cuore magari da tanti dimenticato, e però centro, ancora e sempre, di memoria e di affetti. Chiese anch’esse sbrecciate, dove però c’è un prete che conosce tutti, e facce familiari che confortano, in queste lunghe notti di sonno fragile e inquieto.Vedi con i tuoi occhi nei crocchi di tende, nelle lunghe tavolate all’aperto dove i vecchi, gli immigrati, i più poveri tra la popolazione mangiano insieme e sciolgono l’angoscia in un bicchiere di vino, la naturale solidarietà, la spontanea sussidiarietà che fluisce attorno alle parrocchie; come l’acqua scorre nel letto di un fiume. Il terremoto in Emilia è l’ennesimo luogo nella storia delle calamità in Italia in cui la carità cristiana si dispiega generosa; quei cortili di canoniche dove istintivamente la gente è andata a stringersi e a rifugiarsi, senza nemmeno chiedersi perché proprio lì, dicono molto, a chi voglia guardare, di cos’è davvero la Chiesa, dalle nostre parti.E la colletta che la Chiesa italiana ha indetto per oggi a favore delle popolazioni terremotate è solo il naturale prolungamento di questo spalancare le porte, e assistere vecchi, e far giocare i bambini – che in buon numero qui hanno la pelle scura, e magari non sono cristiani; e tuttavia stanno dentro a questo abbraccio, imparando una gratuità di cui non conoscono la ragione, e che però li stupisce. La colletta per la gente dell’Emilia e del Mantovano cui i fedeli sono chiamati oggi, è solo l’ultimo gesto di una infinita catena, nelle calamità che da tempi remoti hanno colpito il nostro Paese; e quanti, fra quelli che oggi doneranno qualcosa, hanno avuto un padre o un nonno che un tempo si è trovato dalla parte degli sfollati, ed è stato aiutato.Chiamati ad aiutarci, un’altra volta ancora. L’area della pianura segnata dal terremoto è costellata da case e palazzi apparentemente in piedi, ma attraversati da crepe insidiose, lesi nella struttura portante – case in cui forse non si potrà tornare. Le aziende agricole, le stalle, motore di una eccellenza dell’agroalimentare, pure sono colpite; e tante fabbriche anche, dove si ha paura a tornare. E chiese poi, e campanili, quanti, a decine, pezzi di una storia che rischia di scomparire. Che si debba, che sia un dovere aiutare la gente di questa terra è una evidenza che non ha bisogno di parole. Forse però è il caso di aggiungere ciò che salta agli occhi di un osservatore in questi giorni, tra Modena e Carpi e Reggio; e cioè che partecipare all’ennesimo anello di una lunga catena di bene giova non solo ai terremotati, ma in qualche modo anche a chi dona.Perché nel gesto semplice di una solidarietà antica trova conferma anche la nostra identità di credenti, in un Paese in cui anche i muri dalla fede cristiana sono stati impregnati. Aiutare oggi il bisogno della gente dell’Emilia testimonia agli altri, e prima ancora a noi stessi, che la fede opera e incide e segna ancora il vivere in Italia, oggi. Le chiese delle zone vicine all’epicentro del sisma, ci ha detto un parroco a Carpi, sono piene di macerie, gli altari coperti dai detriti, le Madonne venerate dal popolo incrinate, i crocefissi spezzati – come da una rabbia buia di viscere. Per salvare uno di questi amati pezzi di memoria comune è morto, nella sua chiesa di Rovereto sul Secchia, don Ivan Martini. E anche le macerie delle chiese vorremmo fossero amorevolmente raccolte e ricomposte, sanate; grazie all’aiuto di gente lontana e però, nella medesima fede in Cristo, non straniera. Allora, gettando il cuore avanti oltre il boato oscuro delle faglie, si potrà dire un giorno che tanto male e dolore non è stato per niente; ma anche per uno svuotarsi del cuore, e riempirsi di nuovo, di una speranza e una solidarietà viva e vera. Dentro una grande storia comune in cui insieme, da cristiani, procediamo.
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