Cauto esercizio di equilibrio
martedì 17 ottobre 2017

La manovra di traghettamento del Paese è iniziata. La legge di bilancio varata ieri dal Consiglio dei ministri è infatti l’ultima di questa legislatura e, dopo una navigazione che si vedrà quanto serena fra i marosi del Parlamento, porterà l’Italia dritto alla vigilia di una tornata elettorale dagli esiti quanto mai incerti sia relativamente al risultato delle singole formazioni politiche sia al quadro di maggioranza e di governo che potrà delinearsi dopo il voto.

Inquadrata così la situazione generale, si intuisce come gli spazi di manovra per il governo fossero limitati tanto sul piano economico quanto su quello politico. Anche per l’impegno (mantenuto) di non recuperare risorse attraverso la leva fiscale. La ripresa più robusta del previsto offre qualche margine aggiuntivo, ma l’ormai imminente fine del sostegno della Bce all’acquisto di titoli rischia dal prossimo anno di far ripartire la spesa per interessi sulla montagna del debito pubblico, limitando le possibilità di avviare consistenti investimenti di lunga durata. Allo stesso tempo, la crescente fragilità della coalizione di maggioranza che sostiene Paolo Gentiloni fa sì che questo governo non abbia né le spalle abbastanza coperte né la spinta politica per avviare grandi svolte. Anche per non anticipare o 'svuotare' il programma con il quale il Pd intende presentarsi agli elettori a primavera.

È all’interno di questo angusto perimetro, dunque, che il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia, Padoan, hanno svolto un esercizio di equilibrio da 20 miliardi di euro. Sterilizzando ancora l’aumento dell’Iva previsto dalle clausole di salvaguardia e al tempo stesso programmando misure in deficit per 10 miliardi, il massimo consentito dalla flessibilità accordata dall’Unione Europea. Dando via libera a una parziale decontribuzione per i 'giovani' sotto i 35 anni, ma nel contempo confermando le regole per il progressivo incremento dell’età pensionabile. Con limitati investimenti pubblici e nuovi fondi per le imprese 4.0, prevedendo però al tempo stesso risorse per il rinnovo dei contratti della Pubblica amministrazione, fermi da quasi un decennio. Ritagliando 600 milioni di euro per le politiche sociali, in particolare il rafforzamento del neonato Reddito di inclusione e altre misure impropriamente definite «per la famiglia».

Proprio quest’ultimo capitolo di spesa è per molti versi emblematico: denota la sensibilità del governo verso le fasce più deboli, ma non stanzia per questo una cifra tale da arrivare a coprire interamente il (fab)bisogno dei quasi 5 milioni di poveri assoluti. Nonostante questa sia certamente la necessità più urgente. Peggio va alla famiglia per la quale, come si era compreso già alla Conferenza nazionale, non viene prevista alcuna misura, neppure un segnale di un cambiamento: al di là degli attestati sul ruolo fondamentale di 'pilastro della società', eventuali sostegni come il 'Fattore Famiglia' vengono per l’ennesima volta rimandati a ipotetiche grandi riforme future, cioè – come avviene da due decenni, con governi di ogni colore – di là da venire.

D’altrocanto, lo stesso premier Gentiloni ha parlato del capitolo sociale come del quinto obiettivo di questa legge di bilancio dopo il «no a nuove tasse, niente lacrime e sangue» – e ci mancava che non fosse così dopo anni di sofferenza già patita e un Pil al +1,5% – la «promozione del lavoro» attraverso la decontribuzione per i giovani; l’«incoraggiamento alle imprese» e il «rinnovo dei contratti del pubblico impiego». Il piatto forte, oltre a evitare invisi incrementi di imposta, è quindi rappresentato da un lato dagli aumenti agli statali, dall’altro dallo sconto sul costo del lavoro a favore di chi assume giovani. Vedremo quali saranno i risultati di breve e di medio periodo di questo ennesimo intervento temporaneo. Difficilmente, però, potrà dispiegare effetti più ampi di quanto non sia avvenuto con la prima decontribuzione triennale e con il Jobs Act.

Prendendo a prestito il ritornello di un tormentone estivo, questa manovra va «bene, bene, ma non benissimo». Si sarebbe potuto certo far di meglio, ma altrettanto certamente questo governo, in questa situazione politica, non poteva fare qualcosa di diverso da un esercizio di equilibrio, in una calibrata manovra di traghettamento del Paese alle prossime elezioni.

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