venerdì 15 aprile 2011
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Tutta la notte quel belato. Quel canto, o come si può chiamare la voce struggente, le tre voci che si intrecciano, si attendono e rilanciano. Canto che si alza dal cuore dell’Italia. Come se qualcosa nel mezzo, nella pancia, nella radice del fiato di questa terra splendida e ferita prendesse parola.O neanche parola, ma lamento, canto. Belato appunto. E quasi violento, estremo. Come il dolore, come il peccato. Come l’uomo di fronte al male. È il canto del Miserere che si alza dagli uomini di Sessa Aurunca, in un pezzo d’Italia così ricco e sconvolgente che se ne stenta altrove a immaginare l’aroma, il colore, la furiosa dura bellezza. Ogni venerdì di Quaresima gli uomini riuniti in confraternite come quella del 'Santissimo Crocefisso e Monte dei morti', di cui è priore Ginetto Fiordaliso si uniscono, pregano, cenano. E cantano. Coi loro corpi solidi, massicci. Di gente che lavora.Anziani, giovani. E cantano le loro potenti ballate funebri, come nostrani trascinanti blues.Credo che non ci sia nulla di così forte, e confortante e provocante che l’udire e il vedere 40, 50 uomini unirsi nel canto. E in questo genere di canto tra la morte e la vita. Che accoglie l’ombra e batte sulla luce.Durante la cena – meravigliosa di oli e di vini, di bufale e di verdure – Vincenzo Ago e Tonino Aurola ed Emilio Galletta, primari esecutori del Miserere, e poi gli altri commensali, i figli di Ago e anche gli ospiti come il cantore e musicante Ambrogio Sparagna, il giornalista curioso e ampio Tommaso Ricci si uniscono in canti funebri e vitali, dall’andamento prima mesto e poi esaltante. Sanno quando sospendere, o riempire il fiato o scemare e poi di nuovo battere, andare, ancora andare. E poi riunendosi in tre, fronte contro fronte, iniziano l’antichissimo Miserere, le cui origini stanno nel Salmo 50, e poi chi sa per quali strade e consegne da bocca a orecchio, è arrivato in questo luogo duro e magico. E qui risuona nei venerdì notte della quaresima, per tutta la notte. Viene da antri di botteghe aperte sulla strada, da sotto gli archi di chiese illuminate nel cuore della notte, in angoli di vicoli. Un belato, una supplica, una dolce fierezza. Canto dolente e regale. Di un re che chiede misericordia. Del re Davide, del re uomo che sa d’esser peccatore di fronte al suo Signore. Supplica di re, di uomo, di essere che Dio ha posto a vertice della creazione, a dominus. Supplica di un uomo libero.Charles Péguy fa dire a Dio, in una sua opera, che da quando ha visto pregare san Luigi re di Francia, per lui non hanno più sapore le sottomissioni di milioni di uomini prostrati a terra ad adorarlo, come se Lui li volesse umiliati. Quando si è sentito il canto libero di un re che chiede a Dio, quando si è sentito il Miserere, nessuna nenia di uomo che s’annulla, ha sapore per Dio.Niente è pari alla dignità della preghiera di un re. La si vede in questi uomini regali di Sessa Aurunca che cantano il Miserere per se stessi. E per noi, per tutta l’Italia dei vivi e dei morti.Uno spettacolo di fede – che nulla ha voluto cedere a logiche televisive o di folklore – con il sapore forte della sapienza dei Salmi. Le parole del Re Davide continuano dopo millenni a essere ancora belato, canto, scabra e profonda supplica. E segno estremo della nostra dignità, quella che solo la misericordia di Dio vede fino in fondo. E Lui se ne commuove fino a dire: questi uomini che cantano, re penitenti, corpi con la morte e la vita addosso segnati da un’alleanza eterna – ecco la mia gloria, ecco quel che dimostra Chi sono.
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