mercoledì 25 febbraio 2015
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«O la borsa o la vita?». Il forziere a ogni costo o il benessere dei cittadini? Nel Far West di "Slot Italia" l’assalto alla diligenza è da sempre una specialità. Il banco vince. E lo Stato perde sempre. Ci rimette cioè come "istituzione", perché cede al mazziere la facoltà di rastrellare quattrini restituendo alle casse pubbliche un mucchio di briciole al cospetto del gigantesco giro d’affari che viene alimentato, indotto, protetto. E ci rimette come "corpo sociale", perché al suono dei ritornelli del "vincere facile" lascia che i cittadini vengano trattati (e fatti ammalare) da malcapitati lanciatori di dadi in un saloon dai tavoli truccati.Ora si parla di riforma. E si garantisce che progressivamente, stando agli impegni presi nella controversa bozza di legge di riordino del sistema delle scommesse, tutte le vecchie slot machine verranno rimpiazzate dalle nuove Vlt. Per i produttori si tratta di una vera manna, ma tutto sommato qualche vantaggio gli apparecchi cosiddetti "videolottery" lo presentano. I giochi non sono gestiti direttamente, bensì da un "centralone" unico, e il collegamento dovrebbe assicurare il controllo accentrato da parte delle autorità prevenendo frodi, truffe e manomissioni. I dubbi, però, sono tanti. Troppi per una normativa che dovrebbe innovare puntando su legalità, sicurezza e tutela della salute. Nel testo in preparazione il sistema di raccolta delle scommesse sul territorio viene identificato come "Rete fisica statale", in realtà appaltata a concessionari privati che a loro volta, per così dire, subappaltano a dei noleggiatori i quali poi affidano gli apparecchi ai gestori sul territorio. Una modalità piuttosto antiquata, che sottrae ai concessionari responsabilità di controllo sul corretto uso degli apparecchi.Per le major del gioco è in fondo un lavoro pulito. A fare quello sporco ci pensano i noleggiatori degli apparecchi, che con il coltello tra i denti provano a contendersi ogni metro di territorio: bar dopo bar, rivendita dopo rivendita. Ed è nella coda della filiera, quella che si affaccia direttamente sul mercato, che avvengono i giochi più sporchi di tutti, quelli delle mafie. Fior di inchieste raccontano di minacce e violenze, di gang di picchiatori assoldati per costringere i commercianti a scegliere questo o quel noleggiatore. Per non dire della costante infiltrazione delle cosche nella gestione diretta delle sale scommesse.Di tutto questo, bozze e documenti circolati negli ultimi giorni non fanno menzione. Genericamente, si obbligano gli operatori a denunciare qualsiasi illegalità di loro conoscenza. Senza prevedere alcuna sanzione per chi dovesse voltarsi dall’altra parte. Le buone intenzioni degli autori del testo normativo – tutela della salute dei singoli e prevenzione della dipendenza patologica – accompagnano insomma una partitura stonata. Le limitazioni alla pubblicità dell’azzardo si annunciano ridicole. E mentre si intende far saltare l’obbligo dell’uso della tessera sanitaria per ciascun giocatore (pensato per monitorare flusso, frequenza e intensità delle giocate, per scongiurare meglio casi di azzardopatia), non risultano previste limitazioni negli spazi destinati ad apparecchi e scommesse. In altre parole, potranno destinarsi persino interi fabbricati a postazioni per il gioco. Roba che neanche a Las Vegas.A rendere il quadro ancora meno nitido ci sono alcuni commi solo in apparenza di minore portata. Con il solito burocratese viene precisato che l’arredo urbano non potrà in alcun modo limitare la visibilità dei punti scommesse. Neanche fossero farmacie o Pronto Soccorso, i sindaci dovranno fare il possibile perché tutti possano vedere dove si trova una determinata "sala giochi". E i primi cittadini che si sono azzardati a rendere difficile la vita ai propagandisti di Azzardopoli sappiano che limitazioni e vincoli diventerebbero inefficaci. Decorsi sei mesi dall’entrata in vigore delle nuove norme, cesserebbe l’efficacia di tutti i provvedimenti comunali varati sinora. In effetti, però, ai sindaci non verrebbe completamente sottratto il diritto di parola su questi temi. Potrebbero proporre limitazioni agli orari o all’apertura di nuove sale. Ma a una condizione: aspettare a braccia conserte il superiore giudizio della conferenza Stato-Città, che si riunirà una volta all’anno…Una bozza, naturalmente, è una bozza. C’è spazio e tempo per discutere, migliorare, limare, cancellare, aggiungere. Tornare indietro. E ripartire. Perché non si può perpetuare lo strapotere dei signori di Azzardopoli. Che oggi ridono.
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