martedì 4 maggio 2010
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L’accordo raggiunto, ma non ancora firmato, tra il governo greco, il Fondo Monetario (Fmi) e l’Eurogruppo (gli Stati che fanno parte dell’unione monetaria) è modellato sulle intese tradizionali che il Fmi conclude con Stati membri in difficoltà. Il Fmi e l’Eurogruppo si impegnano a fornire alla Grecia un totale di 120 miliardi di euro in tre anni, erogabili in tranches crescenti (dalla prima di 20 miliardi all’ultima di 50 miliardi) a mano a mano che il governo di Atene attua un programma di stabilizzazione concordato. Sino a quando il programma non sarà realizzato, inoltre, la Repubblica ellenica potrebbe perdere il diritto di voto in seno all’Eurogruppo, secondo una proposta della Repubblica federale tedesca all’esame degli organi europei tra una settimana. Atene, inoltre, si impegna nell’immediato a ridurre le spese pubbliche e ad aumentare il gettito fiscale per 24 miliardi di euro, nonché ad adottare misure di austerità che includono il congelamento dei salari, l’eliminazione della tredicesima e quattordicesima mensilità ai funzionari pubblici, l’aumento dell’età pensionabile, un incremento dell’Iva, dal 21% al 23-25% e delle imposte su sigarette, liquori, carburanti da un lato, grandi proprietà, auto di lusso, yacht e salari elevati dall’altro. In tre-cinque anni, il deficit di bilancio delle pubbliche amministrazioni della Grecia dovrebbe essere portato al 3% del Pil. E la Repubblica dovrebbe essere così posta sulla strada della riduzione del rapporto tra stock di debito pubblico e reddito nazionale.Programmi analoghi sono stati attuati per la crisi debitoria latino-americana della fine degli anni Ottanta e della crisi asiatica della fine degli anni Novanta. E sono stati seriamente criticati dal Premio Nobel Joseph Stiglitz che, in polemica con il Fmi, sbatté la porta del suo ufficio di vicepresidente della Banca Mondiale. Con il senno di poi, si può dire che in America Latina hanno funzionato modestamente, mentre in Asia hanno funzionato troppo bene. Martin Wolf, in un libro brillante, rileva che in Asia la strategia è all’origine delle eccedenze delle bilance dei pagamenti dei Paesi asiatici e, quindi, degli squilibri che hanno inciso anche sul pullulare dei mutui sub-prime negli Stati Uniti. In breve, o per difetto o per eccesso, non hanno mai centrato gli obiettivi sperati.La trappola più seria è l’intensità dello sforzo richiesto: implica crescita economica zero o negativa e aumento della disoccupazione sino al 14-15% entro il 2014 (secondo le stesse stime Fmi). È improbabile che il programma venga realizzato, anche perché gli ammortizzatori sociali in vigore in Grecia (il cui welfare è modellato su quello della Germania di Bismarck) proteggono i ceti medi e medio-bassi, ma non quelli più poveri. Difficile pensare che lo stato sociale greco venga modificato in tempo per evitare una vera esplosione sociale, tale da mettere a repentaglio sia il governo che ha contrattato il programma sia il programma medesimo. E ciò, a sua volta, implicherebbe perdita di credibilità per il Fmi e per l’Eurogruppo. Il primo ha le spalle robuste e ha subito pure smacchi analoghi in passato. Il secondo è, invece, un’istituzione ancora fragile con appena dieci anni di vita e con altri parti – Portogallo, Spagna e Irlanda – in difficoltà. I rischi di scossoni nell’area dell’euro sono più gravi ma altrettanto probabili di quelli che ci furono sui mercati internazionali per il caso dell’Argentina quando, uno-due anni dopo il finanziamento, fu comunque dichiarata l’insolvenza per l’impossibilità d’attuare il programma concordato. Un copione che. purtroppo, potrebbe ripetersi. È necessario tenerlo presente e lavorare per evitare esiti altrettanto nefasti.
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