domenica 14 novembre 2010
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Caro direttore,mi chiamo Claudia, sono una comune ragazza di 19 anni iscritta al primo anno di Giurisprudenza a Verona, dove vivo. Pecco di un difetto che viene generalmente attribuito alla mia età: un illusorio idealismo, spesso condito di ottimismo. E quest’attitudine mi ha messo in testa un chiodo fisso: studiare legge per poi diventare magistrato o, ancora meglio, fare politica. In entrambi i casi per un’aspirazione, questa di sicuro infantile, a mettermi al servizio del mio Stato, dei miei compatrioti e di qualunque persona respiri, mangi e cammini su questa terra chiamata Italia. Con la convinzione che un’Italia più giusta possa contribuire a un mondo più giusto. Eppure qualcosa ultimamente non funziona: è passata la voglia di leggere i giornali, di passare le ore davanti al computer a confrontare gli articoli di diverse testate. È passata la voglia di frequentare le sedi dei partiti della mia città per capire cos’ha ciascuno di essi da dire. E il vuoto dilaga anche altrove. All’università, ad esempio: tanti ragazzi frequentano legge perché «tanto i miei hanno lo studio».Parlano solo di quanti soldi hanno (e non scherzo).Niente fervore, nessuna voglia di parlare di ciò che accade intorno a noi, tranne pochissimi che si contano sulle dita di una mano. Nel mondo economico, poi: la crisi non è passata. Le famiglie con un solo stipendio che rischia di venir meno da un momento all’altro esistono davvero. Ho sempre stimato i miei genitori per il coraggio che hanno dimostrato nelle loro scelte: otto figli comportano sacrifici. E lo Stato non è assente: ci sono gli assegni familiari e le agevolazioni fiscali. Ma non è abbastanza!Volevo frequentare la Luiss a Roma, ma i soldi per vitto e alloggio superavano di mille euro l’importo della borsa di studio. Quindi eccomi qui, nella mia Verona. E la politica nazionale? Un governo agonizzante, un’opposizione inesistente. Strategie da risiko di partiti alla conquista di poltrone. Con esiti che sembrano davvero frutto di un lancio di dadi. Giovedì sera ho guardato “Annozero” e ho pianto, silenziosamente, di rabbia. Ho fatto quella cosa che la Fallaci diceva di voler fare senza riuscirvi: ho versato lacrime su quest’Italia a cui, sebbene sia mia solo da diciannove anni, mi sento visceralmente legata. Ho pianto vedendo uomini in divisa caricare dei cittadini.Cercando di capire perché cinque uomini, non clandestini, si siano dovuti accampare su una gru.Ascoltando con sgomento quella che è la nostra classe dirigente. E con disgusto quelli che si spacciano per giornalisti. Mi sono posta una domanda: davvero vale la pena di immischiarti in tutto questo? Davvero vuoi sprecare la tua vita? E la risposta è stata sì. Perché non mi piacciono le urla di certi miei coetanei: «Dateci la possibilità di avere un futuro». Ennò, se non me lo danno, io me lo prendo. E se non ci riuscirò, almeno avrò dato una testata a questo muro. E la testata successiva tirerà giù un altro mattone e pian piano si vedrà di nuovo l’orizzonte. Lo Stato è un ente politico: persegue fini generali, ovvero muta in base alle circostanze storiche i suoi obiettivi. E questo è destabilizzante perché rivela che non si giungerà mai in maniera definitiva alla perfezione, al bene comune. Ma è affascinante perché il cammino da percorre è illimitato. Per questo non ci si può arenare. E io ci credo nell’Italia, voglio crederci ancora. È uno sfogo, caro direttore, lo riconosco, ma mi è uscito dal cuore e davvero non potevo fermarlo. Lo bruci, lo triti, lo cestini... Non mi interessa, perché berciando ho ritrovato un po’ di speranza.

Claudia Commisso, Verona

Accolgo il suo “sfogo”, cara Claudia. E faccio volentieri spazio ai suoi sogni e ai suoi sentimenti, che hanno l’impeto dei diciannove anni e la pulita bellezza della passione e dell’indignazione non trattenuta. Non tutto ciò che dice deve piacere a tutti, ma tutti possono esserne toccati, e – anche se a qualcuno suonerà strano – addirittura consolati in questo tempo colmo di confusioni e disattenzioni. Una sola cosa vorrei dirle: è bello servire lo Stato e farlo con ispirazione alta, ma è essenziale aver chiaro che la sua dimensione “politica” è prima di tutto “comunitaria”. E che, dunque, gli obiettivi di uno Stato possono mutare, ma i valori fondanti attorno ai quali una comunità si unisce e che la reggono e indicano il “bene comune” non mutano.Questo dà radici alla speranza. E lei speri forte, cara Claudia, speri forte. (mt)
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