Alle democrazie serve la pace
martedì 6 giugno 2023

Il cardinale Matteo Maria Zuppi è arrivato ieri in Ucraina per due giorni di intensi colloqui. È iniziata così la sua missione di pace, mentre la situazione resta molto difficile. Qualcosa sembra muoversi nella diplomazia internazionale, mentre l’autorevole rivista “ Foreign Affairs” definisce il conflitto russo-ucraino una guerra che nessuno può vincere.

Se l’ingresso dell’Ucraina nella Nato appare improbabile, Usa, Gran Bretagna, Francia e forse Germania si stanno accordando per assicurarne la difesa in caso di un attacco russo in futuro, mentre la Cina ha smentito le ricostruzioni di una sua proposta di immediato cessate il fuoco funzionale agli interessi russi. Sono passi per rassicurare Kiev e indurla a considerare in una luce diversa le questioni della Crimea e del Donbass: si ipotizza un futuro parziale ritiro di truppe e la creazione di una zona smilitarizzata. Ma ci sono ancora troppe incognite ed è un processo troppo lento. Solo papa Francesco sembra voler davvero accelerare, come mostra la missione voluta dal Pontefice a dispetto di critiche, scetticismi, opposizioni.

Pesa, in particolare, il silenzio delle opinioni pubbliche occidentali riguardo all’urgenza della pace, malgrado significative eccezioni. Ma gli occidentali dovrebbero riflettere sul fatto che la guerra minaccia indirettamente anche le loro democrazie. Non è infatti una mera coincidenza che, mentre la guerra dilaga in varie parti del mondo e viene sempre più considerata “normale”, si moltiplichino i segni di crisi della democrazia: non solo si riduce il numero dei Paesi democratici, ma all’interno di questi sono sempre più diffuse tendenze alla “democrazia illiberale”, a forme di “democratura” o ad altre patologie. C’è un motivo di fondo per cui questo accade: alla lunga, senza la pace, la democrazia non vive. Per questo stesso motivo è entrato in profonda sofferenza anche quel raffinato prodotto della pace e della democrazia che è l’Unione europea.

L’incompatibilità tra guerra e democrazia non è una scoperta di oggi. È noto che la guerra impone trasformazioni profonde alle istituzioni e alla politica dei Paesi belligeranti: per combattere ci vuole unità di comando, obbedienza cieca, compattezza totale. Ma ci sono effetti anche più profondi: la guerra, infatti, diffonde l’ossessione del nemico e una mentalità di contrapposizione totale che vieta qualunque distinzione, tolleranza, mediazione. Tutto ciò di cui la democrazia più si alimenta. L’impatto avuto dalla Prima guerra mondiale, in Italia, è in questo senso illuminante: dalla propaganda martellante contro il nemico esterno si è passati al sospetto contro il nemico interno, dallo scontro militare contro l’esercito austriaco alla discriminazione degli italiani con mogli tedesche. Chi invocava la pace e non la vittoria era un traditore, anche il pacifista andava trattato come un nemico. Fu un crescendo senza fine. Portata nella vita civile, la violenza della Prima guerra mondiale ha prodotto il fascismo, che non è stato solo un regime autoritario, ma ha anche sempre mantenuto l’ossessione del nemico – esterno e interno – fino allo sbocco inevitabile di una guerra non patriottica ma fascista.

Davanti agli esiti tragici di tutto questo, invece, dopo la Seconda guerra mondiale è cominciato un percorso opposto. L’Occidente ha fondato il progetto di un nuovo ordine mondiale proprio sul nesso tra pace e democrazia e nei Paesi occidentali la pace ha spento l’ossessione del nemico esterno, mentre la democrazia spegneva quella del nemico interno. La democrazia si è rivelata in questo senso la continuazione della pace con altri mezzi e viceversa. Ma qualcosa si è rotto dopo il 1989 e con la fine del blocco sovietico si è persa l’occasione di costruire un ordine internazionale più ampio basato su questo binomio. Si è creduto che la democrazia potesse affermarsi a prescindere dalla pace, ma i tentativi di esportarla con la forza in Iraq o altrove sono falliti.

E questo fallimento ha indebolito indirettamente la democrazia anche nei Paesi democratici. Oggi non si combatte sul suolo italiano, e non ci appare certo prossimo l’avvento dell’uomo forte. Perché dunque preoccuparsi? Ma la guerra in Ucraina alimenta – in particolare in Europa – le tendenze alla polarizzazione sempre più diffuse ovunque: favorisce cioè una logica di contrapposizione totale sul piano internazionale e all’interno delle società nazionali. Ricompaiono i fantasmi dell’ossessione del nemico interno ed esterno anche se non con la forza di altri momenti.

Il binomio pace-democrazia ha profonde radici cristiane e nel XX secolo è stato lungamente sostenuto dall’impegno politico di molti cristiani, in Italia in particolare di molti cattolici. E oggi, in modi diversi dal passato, il rapporto tra pace e democrazia torna a costituire un nodo politico cruciale cui i credenti non possono restare insensibili. C’è bisogno anche di loro per una mobilitazione dell’opinione pubblica decisiva per fare la differenza tra la continuazione o la fine della tragedia ucraina.

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