venerdì 25 maggio 2012
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L’odierna Giornata dell’Africa, che ricorda la fondazione, avvenuta nel 1963, dell’Organizzazione dell’unità africana, oggi Unione africana, ci offre l’opportunità di riflettere non solo sulle sfide e sui risultati dell’azione dei governi, ma anche sul ruolo delle comunità cristiane. Da questo punto di vista, vi sono segnali che indicano da parte dei fedeli una maggiore consapevolezza rispetto alle sfide del nostro tempo. Anzitutto, colpisce la percezione che occorre voltare pagina, mettendo in discussione una mentalità remissiva di fronte alle grandi questioni imposte dalla globalizzazione. È sintomatico che a pensarla così non siano esperti stranieri, ma gli stessi africani. Il messaggio finale del Secondo Sinodo africano, dell’ottobre 2009, parlava chiaro, rifuggendo da inutili pietismi, nella certezza che occorre mettere in discussione un atteggiamento rinunciatario. Si tratta di una consapevolezza che parte dal presupposto che il Continente ha davvero i numeri per farcela.È vero, le carestie continuano a mietere vittime – lo scorso anno nel Corno d’Africa, oggi nel Sahel –, ma, secondo il Fondo monetario internazionale, il Ghana nel 2012 crescerà del 13,5%, il Niger del 12,5%, l’Angola del 10,5%. La crescita complessiva del Pil sarà intorno al 6%, anche se l’attuale crisi dei mercati ha esaltato la tendenza alla concentrazione di elevate proporzioni della ricchezza nelle mani di una piccola minoranza. Su questo fenomeno, la Chiesa auspica, come si legge nella recente esortazione post-sinodale Africae Munus, che la globalizzazione della solidarietà giunga sino a inscrivere «nei rapporti mercantili il principio di gratuità e la logica del dono come espressione della fraternità» (n. 86). Detto questo, proprio perché i giovani africani con meno di 25 anni rappresentano, a livello continentale, il 60% della popolazione, un altro dato interessante che fa ben sperare è la centralità che molte diocesi hanno dato all’istruzione, inferiore, superiore e universitaria. Per non parlare dell’impegno profuso nell’affermare il diritto alla salute e all’informazione. Per non parlare dell’innovazione. In occasione dell’assemblea plenaria del Simposio delle Conferenze episcopali d’Africa e Madagascar (Secam), nel luglio del 2010 ad Accra (Ghana), si è parlato di autosufficienza e di fonti alternative. Sono già in atto esperienze pilota sull’energia solare o fotovoltaica, con la quale promuovere attività economiche, destinate a dare e produrre risorse e occupazione anche nelle zone più remote. Ma l’ambito nel quale molte comunità stanno dando prova di grande lungimiranza e moderazione è quello del dialogo interreligioso. Basti pensare alla Chiesa nigeriana duramente provata dalla violenza degli estremisti islamici. Sebbene vi sia stata in più circostanze la richiesta alle autorità locali di garantire l’incolumità dei fedeli, l’arcivescovo di Abuja, monsignor John Olorunfemi Onayekan, ha sempre tenuto a precisare che l’immagine di una guerra di religione tra cristiani e musulmani non corrisponde al vero e rischia di esacerbare un conflitto le cui cause appaiono piuttosto di origine sociale e politica. Il jihadismo è certo una minaccia reale per tutti dopo il raffreddamento delle primavere arabe del Nord Africa, ma va contrastato, a detta di molti presuli, con un deciso impegno dei governi su scala internazionale. Nel frattempo, i missionari continuano il loro apostolato, anche se ormai molte diocesi sono fiorenti di vocazioni. Con queste premesse, l’augurio, come ha scritto Benedetto XVI, è che la Chiesa in Africa possa essere davvero «uno dei "polmoni spirituali" dell’umanità».
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