È a noi che tocca lasciare nuovi segni
martedì 1 novembre 2016

Ora tocca a noi, ho pensato, vedendo il crollo della basilica di San Benedetto a Norcia. La bellezza, i segni stessi della santità non sono al riparo del tempo. Al riparo dalle imperfezioni di questo posto che no, non è il paradiso. Le continue scosse di queste settimane nel cuore dell’Italia stanno uccidendo persone, spaventando tanti, stanno facendo crollare case e luoghi cari. È un disastro che chiede a tutti un supplemento di attenzione, una mobilitazione di aiuto come si può. E anche un supplemento di giudizio. Cioè di verifica di che cosa questa cosa ci chiede di pensare, di decidere. Un aumento di consapevolezza. Il crollo della basilica di Norcia (un posto "dolcissimo", mi ha scritto il mio amico poeta Mencarelli) ha scosso tutti. Ma cosa ci chiede di pensare, cosa ci invita a decidere?È stata un grande segno per secoli, quella chiesa. E lo è ancora adesso nel suo crollare, nel suo restare come una ragazza meravigliosa e ferita. Cosa ci chiede? Sommessamente penso ci dica: tocca a noi. A noi che siamo stati a lungo eredi di quella bellezza e di quei segni di santità. Tocca a noi lasciarne di altri, di nuovi. Nessuno è al riparo dal tempo, nessuno e niente è al riparo dalla forza della natura. Leopardi poeta delle terre colpite lo sapeva. E, cristianamente, invitava a diffidare dalle illusioni di chi si ritiene padrone del tempo e della natura. Anche le cose meravigliose sono fragili. Occorre stare in questa umiliazione. Senza deprimersi, ma senza nemmeno appellarsi a banali luoghi comuni per andare avanti come se niente fosse. No, sta succedendo qualcosa che ci umilia e ci chiede molto. Dove prendere l’energia di giudizio e di decisione?Ora tocca a noi lasciare qualcosa che somigli alla bellezza e alla chiarezza di segno di quelle pietre. Pietre nate dalla vita. E, in quanto pietre, sottomesse alla forza del tempo e della natura. Certo, quel crollo come altri di antiche chiese riempie di sconforto. Perché sarà più dura ricostruire case e comunità intorno alla mancanza di quei segni. Proprio ora che cedono forse ne sentiamo l’importanza. E ci viene da sorridere della idiozia di chi vorrebbe togliere i segni pubblici dalla vita del popolo. I segni visibili. Consegnando tutti e tutto a luoghi neutri, banalmente eredi del nulla e dunque propositori di nulla. Lo sconforto dei crolli può e deve diventare la energia della costruzione. Della responsabilità di lasciare noi a chi verrà dopo e a chi ci sta intorno segni che facciano alzare gli occhi e il cuore. Segni di parole, segni di gesti, di pietra, segni di ogni tipo. Iniziative fugaci, certo, anche. Parole che non restano, sicuro, pure queste. Però ora quei crolli ci dicono: traete dalla vostra vita segni che restano.E allora la domanda è: abbiamo una vita che genera segni per tutti? Trarremo dalle nostre vite, difficili come quelle di tutti, passate «dall’unicorno del peccato » eppure vite in cui «la morte non ha dominio», come dice il grande poeta Dylan Thomas, dei segni di pietra o di qualcosa che dura? I nostri padri lo fecero, e ora piangiamo la distruzione dei segni, come altre volte la incuria che abbiamo avuto. Ma ora è il tempo che lo sconforto diventi energia, forza. Nessun segno che duri si costruisce da soli. Nemmeno la più grande opera d’arte è frutto solo di un individuo ma di molti maestri e influenze che operano in lui. Ora le nostre comunità hanno una responsabilità in più. L’albero si riconosce dal frutto. Se non genereremo segni pari in bellezza e forza a quelli che abbiamo perso significa che la nostra vita è più sterile.Non avevano una vita facile coloro che costruirono quei segni. Avevano mille comfort e possibilità in meno di noi. Ma si dedicarono a lasciare in eredità qualcosa che non fosse solo un centro per il business o uno stadio. In quel cuore d’Italia messo così duramente alla prova lasciarono segni umili e bellissimi di quel che il cuore desidera. E infatti tutti, credenti o non credenti, visitando quei luoghi avvertivano qualcosa che parlava al loro cuore. Ora tocca a noi. Fare nuove cattedrali, o piccole pievi, o case del popolo, o giardini, o luoghi dove il cuore e la mente degli uomini riconoscono il segno del loro destino. Che non è la paura, ma un grande misterioso, abbraccio.

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