Memorandum Italia-Libia e profughi
venerdì 7 febbraio 2020

Il rinnovo automatico di un contratto può essere fonte di brutte sorprese (volgarmente dette "fregature") per il contraente "debole", poniamo il consumatore-utente di elettricità, gas o linea telefonica. Questo perché è possibile che i termini del patto vengano prorogati non tenendo conto di cambiamenti sostanziali nel frattempo intercorsi nei rapporti fra le parti. Per esempio un ritocco in alto delle tariffe, magari comunicato in maniera più o meno "mimetica" con una mail qualche mese prima. Figuriamoci, dunque, quali garanzie possa fornire la proroga senza modifiche di un accordo – parliamo del Memorandum Italia-Libia – riguardante addirittura la gestione dei massicci flussi migratori in transito dall’Africa verso l’Europa. Un documento, per altro, già quanto meno discutibile in origine.

Le analogie con il nostro esempio sono tante, ma con un’eccezione sostanziale che solleva ancora maggiori perplessità circa la proroga: in questo caso la parte "debole" non ha nemmeno sottoscritto il contratto, ma è costituita dalle migliaia di profughi che arrivano in Libia per sfuggire a guerre, persecuzioni, fame e carestie con la speranza di approdare in Europa. Persone senza garanzie né tutele, che finiscono negli ormai famigerati centri di detenzione libici dove, anche grazie alle inchieste di Avvenire, è stata accertata e documentata la mancata osservanza dei diritti umani elementari.

Dalla data della stipula, tre anni fa, fino ai giorni scorsi, numerose voci si sono levate affinché quel memorandum venisse rimpiazzato da politiche migratorie diverse, da accordi che, per fare un esempio, non finanziassero né attribuissero un ruolo chiave alla cosiddetta Guardia costiera di Tripoli, i cui membri sono stati accusati ripetutamente dalle agenzie Onu di traffico e detenzione di esseri umani. E come se non bastasse il contesto libico è divenuto, con la recrudescenza della guerra civile e con l’interessamento diretto di Paesi come Russia e Turchia, ancora più critico.

Di recente si sono appellati all’Italia, che nel frattempo ha cambiato tre governi ma finora non ha cercato di cambiare quell’intesa, organizzazioni non governative, realtà cattoliche e laiche, il commissario per i Diritti umani del Consiglio d’Europa, per limitarci a un elenco sintetico. Tuttavia, come previsto, domenica scorsa è scattato il rinnovo per altri tre anni. Che cosa resta, allora, tra le mani di chi non vuole rassegnarsi a un mondo in cui esseri umani sofferenti, spaventati, malnutriti, maltrattati, non di rado stuprati e torturati, sono considerati alla stregua di casse di merce da scaricare, immagazzinare, tenere ferme o rispedire al mittente?

Resta un filo di speranza, appeso alle parole spese fino a qualche giorno fa da autorevoli esponenti del governo Conte II (in primo luogo dalla viceministra degli Esteri Marina Sereni, in un’intervista al nostro giornale) per garantire che si può ancora cambiare, che i negoziati con la Libia per migliorare la situazione andranno avanti anche dopo il rinnovo automatico. Ma, fino a questo momento, la sostanza non è mutata. Così come non sono stati toccati i cosiddetti 'decreti sicurezza', che al contrario hanno in realtà aumentato l’insicurezza nelle nostre città, moltiplicando il numero degli irregolari, dei senza tutele, dei senza niente e degli emarginati, e messo ingiustamente sotto accusa la solidarietà.

Che la demagogia non vada a braccetto con la complessa arte di governare i processi sociali nel rispetto della dignità delle persone lo dimostra (e al tempo stesso è un segnale, seppur minimo, di novità) la circolare appena emanata dal Ministero dell’Interno che rende più elastici i criteri economici per l’accoglienza ai richiedenti asilo, dopo che gli insensati tagli voluti e sbandierati dal precedente ministro Matteo Salvini al grido di «la pacchia è finita» hanno provocato la fuga dai bandi per l’assegnazione di tali servizi di chi non voleva adeguarsi agli standard simil-carcerari imposti per esigenze di propaganda politica.

Anche su questo fronte, così come sul memorandum con la Libia, si registrano periodicamente da parte di esponenti della maggioranza e dell’esecutivo, a cominciare proprio dal presidente del Consiglio Giuseppe Conte, rassicurazioni di virtuosa «discontinuità» all’insegna di legalità e umanità: quei patti opachi e forse scellerati saranno modificati, ripetono tutti. Nel caso, come si dice, sarebbe meglio tardi che mai. Ma comunque tardi.

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