Perché tanta fretta di morte?
giovedì 29 giugno 2017

Perché tanta fretta nel sospendere la ventilazione assistita al piccolo Charlie Gard? È questa la domanda per la quale vogliamo una risposta, che per ora non c’è. I fatti sono noti: Charlie Gard ha 10 mesi, è nato in Gran Bretagna apparentemente sano, ma dopo poco ha mostrato i segni di una malattia terribile e rarissima che al momento non ha cure e che gli procura un progressivo indebolimento dei muscoli e del sistema nervoso. Ha infatti danni importanti al cervello, tanto che non può respirare né nutrirsi autonomamente, e non muove braccia e gambe. Le sue condizioni sono destinate a peggiorare. I suoi genitori vorrebbero portarlo negli Stati Uniti per un trattamento sperimentale, e per questo hanno raccolto una grossa somma di denaro, fra la gente. I medici che lo hanno in cura, però, non solo non sono d’accordo con questa scelta, ma vogliono sospendere i sostegni vitali al bambino. Ne è nato un contenzioso che ha concluso tutti i gradi di giudizio interni inglesi, e si è risolto in favore dei medici e contro il parere dei genitori. Secondo i giudici inglesi hanno ragione i dottori che hanno in cura il piccolo, e i sostegni vitali vanno sospesi. I genitori hanno giocato allora l’ultima carta possibile, quella della Corte europea dei diritti umani, che però ha appena comunicato di rinunciare a entrare nel merito, riconoscendo sostanzialmente un’autonomia nelle scelte dei singoli Stati in casi di questo tipo, e, di conseguenza, legittimando la decisione dei tribunali inglesi per il piccolo Charlie.

Quindi, contro il volere dei genitori, al bambino nei prossimi giorni saranno interrotti tutti i trattamenti che lo tengono in vita, e lui sicuramente morirà. Non credo esista una disperazione più nera di quella di genitori che sono costretti ad assistere impotenti alla morte procurata di un loro figlio. E per questo preghiamo Dio di concedere loro la forza per affrontare questa terribile prova, un’esperienza che, sappiamo bene, li accompagnerà come un incubo per tutta la loro vita, e chissà se qualche giudice fra quelli consultati ha mai provato anche solo per un momento a mettersi nei loro panni, o a chiedersi che ne sarà di quel padre e di quella madre, una volta che il loro Charlie sarà morto in questo modo.

E chissà come i medici eseguiranno le sentenze: allontaneranno padre e madre dal lettino del figlio, oppure li lasceranno assistere fino alla fine?

Noi non sappiamo se la terapia sperimentale a cui i genitori vorrebbero sottoporre il piccolo è un intervento gravoso e sproporzionato, oppure no. Questo giudizio spetta agli esperti, anche se, onestamente, fa impressione il silenzio generale di tutti coloro – giuristi, bioeticisti, intellettuali – che, dopo decenni passati a pontificare di autodeterminazione e di libertà di cura, restano improvvisamente muti di fronte a un’imposizione tanto violenta nei confronti di questa famiglia. Ma dobbiamo distinguere un trattamento sperimentale dall’interruzione dei sostegni vitali, a cominciare dalla respirazione artificiale: il primo può essere un 'accanimento' inutile, ma che dire della seconda? I medici chiedono il distacco dalle macchine da febbraio. Adesso siamo alla fine di giugno: se all’epoca Charlie fosse stato terminale, sarebbe già morto. E se ora la sua morte fosse imminente, lo sarebbe per un peggioramento generale della sua situazione, del funzionamento di più organi, e il respiratore non sarebbe certo risolutivo. Se invece la sua morte non è imminente, perché volerla anticipare? E in questo modo, contro il volere dei suoi genitori? Insomma: anche rinunciando a trattamenti sanitari, sperimentali o meno, se ritenuti clinicamente inutili e gravosi per il piccolo, perché non accompagnarlo con cure palliative, lasciando però che respiri fino alla fine? Le cure palliative non richiedono il distacco automatico del respiratore (e neppure della nutrizione artificiale).

E torniamo alla domanda iniziale: perché tanta necessità di sospendere la ventilazione artificiale a Charlie, contro il volere dei suoi genitori? È troppo forte il sospetto che si voglia porre fine quanto prima alla vita del piccolo, perché oramai già irrimediabilmente segnata. Ma non dobbiamo giocare con le parole: una morte procurata volontariamente ha un nome preciso, si chiama eutanasia. E la morte procurata di disabili, per mano delle autorità, è una tragica storia che il nostro continente ha già conosciuto, e tutti abbiamo detto 'mai più'. Perché ci torna in mente, quando pensiamo al piccolo Charlie?

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