mercoledì 23 dicembre 2015
​Sfruttamento, paura, torture: l'esodo di un popolo.
Un gruppo di eritrei a Lampedusa in una foto dell'archivio Ansa

Un gruppo di eritrei a Lampedusa in una foto dell'archivio Ansa

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Non ha fine l’esodo dall’Eritrea, dalla quale fuggono ormai da un decennio verso Ue e Nordamerica profughi sempre più giovani. Le cifre sconcertano e mettono a rischio il futuro della giovane nazione africana. Nel giugno del 2014 i vescovi cattolici della piccola nazione pubblicarono una coraggiosa lettera pastorale in cui denunciavano la perdita di intere generazioni. Amnesty International nell’ultimo report conferma che scappano mediamente 5.000 persone al mese. L’età media dei profughi si è abbassata e oggi si mettono in viaggio nel Sahara e nel Mediterraneo gruppi di adolescenti soli – da noi sono i minori non accompagnati – e famiglie di giovanissmi con bambini piccoli. Lo confermano le testimonianze e i dati raccolti dall’Acnur, dall’Organizzazione internazionale per le migrazioni e dagli organismi umanitari che, banditi nel 2007 dal regime di Isaias Afewerki, curano gli eritrei in Etiopia, Sudan, Egitto e in Europa.

Nonostante il calo degli arrivi registrato nel 2015 sulle nostre coste, oltre un quarto dei migranti transitati in Italia quest’anno sono eritrei. Inoltre gli arrivi dal Paese del Corno d’Africa costituiscono il terzo gruppo per nazionalità di ingressi nella Ue. In questi 10 anni si stima siano fuoriusciti 400mila giovani su una popolazione di sei milioni.Cosa genera il flusso infinito? Anzitutto un regime che, secondo l’Onu, commette crimini contro l’umanità. Dal Paese, militarizzato e chiuso, agli ultimi posti nelle classifiche mondiali dei diritti civili e della libertà di stampa, dove non esiste opposizione e il regime controlla ogni cosa, impedendo l’accesso persino alla rapporteur dell’Onu sui diritti umani, poco trapela sulle condizioni di vita. L’unica risposta è la fuga di massa, un referendum contro il regime di Isaias Afewerki, che nel 1993 guidò l’Eritrea all’indipendenza da Addis Abeba dopo un conflitto trentennale e perciò godette per anni di stima incondizionata nel Paese e in occidente.

Ma nel 1998 la piccola Eritrea entrò in guerra con il gigante etiope per una questione confinaria che portò a una pace armata nel 2000 e a una tensione persistente. Afewerki nel 2001 arrestò ministri, militari e giornalisti in dissenso con la sua politica e sospese tutte le libertà civili. Da allora è stato imposto un regime autocratico e iper nazionalista e un perenne stato di emergenza. Un recente rapporto delle Nazioni Unite ne ha descritto la soffocante «cultura della paura» con arresti e detenzioni arbitrarie di renitenti alla leva, oppositori politici, genitori di disertori. L’Eritrea è disseminata di container-prigione che raggiungono temperature infuocate e dove viene sistematicamente praticata la tortura. Amnesty International parla di migliaia di detenuti di coscienza e politici imprigionati senza processo e spariti nel nulla. L'Onu e le ong condannano poi la leva a tempo indeterminato, assimilabile ai lavori forzati, si viene infatti arruolati a 17 anni e si entra nel famigerato campo di addestramento di Sawa, dove le reclute – di sesso maschile e femminile – vengono sottoposte, secondo le loro testimonianze, ad abusi e violenze.

Lo stipendio è 30 euro mensili con due settimane di licenza all’anno. Anche se l’Asmara nega, vengono impiegati come manodopera a basso costo nelle imprese straniere: nelle miniere di oro e potassio sfruttate da multinazionali australiane e canadesi, nei cantieri dei resort turistici a capitale qatariota o nelle fabbriche dei cinesi. Economicamente il Paese, che negli anni 50 era considerato per infrastrutture e industrie la Svizzera d’Africa, non si è mai risollevato dal collasso inflittogli da 40 anni di occupazione etiopica e da 30 di guerra indipendentista. E oggi fabbrica profughi. I giovanissimi preferiscono infatti rischiare di venire rapiti, torturati o uccisi dai trafficanti lungo la rotta del Sahara o annegare nel Mediterraneo inseguendo un sogno piuttosto che crescere in un Paese senza speranza. Un giovane può infatti studiare solo nell’esercito perché l’università dell’Asmara è stata chiusa nove anni fa e per trovare nuove reclute i militari compiono vere e proprie retate che non risparmiano i 14enni. L’assenza di prospettive nel paranoico stato caserma e la miseria sono aggravate ultimamente dalla carestia che, dalle rilevazioni satellitari del World food programme dell’Onu, avrebbe dimezzato i raccolti di cereali.

Tutto ciò spiega il forte aumento di minori e giovani fuggiti in Etiopia o in Sudan, poi in Libia, o – causa la presenza sempre più forte del Daesh che uccide i cristiani e vuole impossessarsi dei lauti proventi del traffico di esseri umani – verso Alessandria d’Egitto perché da un anno e mezzo è stata chiusa dai raid aerei del Cairo la terribile rotta del Sinai dove hanno perso la vita per mano dei predoni beduini almeno 5.000 persone. Senza contare che il traffico di esseri umani, nello sfascio e nella corruzione imperversante (il Paese è al 166esimo posto su 175 nella classifica di Trasparency international) è diventata una risorsa occulta nelle mani di esponenti delle forze armate.Formalmente chi viene scoperto a passare il confine rischia la fucilazione sul posto: nel settembre 2014, 13 adolescenti sono stati ad esempio trucidati al confine con il Sudan e fatti sparire in una fossa comune. Ma numerose inchieste giornalistiche e un rapporto del Gruppo di monitoraggio Onu del 2012 provano la complicità con i trafficanti del comandante 'Manjus' Kifle, uomo di spicco del regime. Cui secondo gli oppositori gioverebbe liberarsi di potenziali oppositori, cui poi estorcere la tassa del due cento sul reddito annuale una volta espatriati.

Molte testimonianze dimostrano che i capi eritrei del racket dei trafficanti in Libia si muovono tranquillamente nella stessa Eritrea (cosa impensabile senza accordi col vertice, visto che gli uomini possono espatriare dopo i 60 anni, le donne a 50) e in Sudan, dove l’Asmara ha mano libera. Un altro fattore ha spinto l’Eritrea ai margini della comunità internazionale. Il Consiglio di Sicurezza dell’Onu con una risoluzione del 2009, confermata il 23 ottobre 201,5 ha decretato l’embargo sulla vendita di armi al Paese.Infatti Afewerki secondo l’Onu, ha armato il gruppo terrorista somalo Al Shabaab per destabilizzare l’area. Nonostante ciò, il dittatore è considerato dall’Ue partner affidabile per risolvere la questione dei profughi. La Danimarca e il Regno Unito stanno addirittura cercando di togliere agli eritrei la patente di rifugiati declassandoli a migranti economici perché l’Eritrea non è in guerra e sarebbe democratica. E l’Italia ha avviato il discusso Processo di Khartoum, l’intesa sul controllo dell’immigrazione firmata il 28 novembre 2014 tra l’Europa e 10 Stati del versante orientale dell’Africa per bloccare i migranti oltre il Sahara. Così il controllo del flusso passerebbe agli stessi oppressori come Afewerki, al cui governo il Fondo europeo per lo sviluppo ha stanziato l’11 dicembre un pacchetto di 200 milioni di aiuti senza vincoli e condizioni. Neppure un cenno all’avvio di un percorso di pace tra Asmara e Addis Abeba, che pure risolverebbe molte questioni. Bruxelles preferisce ignorare le ragioni della fuga di massa dallo Statocaserma e vuole sigillarne i confini, illudendosi così di mettere a tacere le urla del silenzio dal Corno d’Africa.

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