venerdì 20 novembre 2015
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Martedì 8 dicembre papa Francesco aprirà la Porta Santa di San Pietro, momento che segna l’avvio del Giubileo dedicato alla Misericordia. La capitale e i luoghi della cristianità, lo sappiamo, sono obiettivi sensibili. Forse è persino inutile segnalarlo. Tutti i luoghi di aggregazione ormai lo sono, dopo gli attentati terroristici di Parigi: le sale concerto, gli stadi, i ristoranti, le stazioni, gli aeroporti e i voli aerei, i mezzi pubblici, le scuole, le cattedrali, le sinagoghe, le moschee sgradite... È la nostra stessa vita a essere diventata a rischio, se la minaccia segue logiche indecifrabili e ha il solo scopo di generare terrore e alimentare paura nella popolazione. C’è una guerra mondiale «a pezzi», dopotutto, e un frammento purtroppo è finito anche qui. Nessuno sa dire quante volte, e dove, potrà accadere ancora. Ma una cosa è certa: anche se la guerra non è ufficialmente dichiarata (tant’è, come ha ricordato ieri il ministro degli Esteri Gentiloni, che non vediamo i giovani chiamati, o richiamati, alle armi e in divisa) nella guerra ci siamo 'entrati' nel momento in cui, nonostante le rassicurazioni, siamo arrivati ad avere paura di fare le scale della metropolitana, di sedere a fianco di uno straniero, di mescolarci a una folla. In guerra ci siamo quando decidiamo di fermare tutto e di fermarci a ogni pacco sospetto. C’è però un aspetto che dovremmo incominciare a valutare di fronte a un conflitto con tali caratteristiche: considerarci tutti in qualche modo 'soldati'. Arruolati, in difesa pacifica e disarmata della libertà, dei valori fraterni, della convivenza civile. Non lo possiamo spiegare fino in fondo ai più piccoli o ai nostri figli, ma siamo perfettamente in grado di dare l’esempio di 'soldati di pace': continuare a fare fino in fondo le cose che vale la pena fare, sapendo che come i soldati possiamo anche morire. Non dobbiamo arrenderci all’idea che chi ci spara addosso abbia già vinto. La consapevolezza della paura può voler dire anche imparare a maneggiare il codice della responsabilità in un modo nuovo. Nello spazio di pochi giorni siamo passati dal temere la morte in anticipo a causa di carne rossa e prosciutto, alla possibilità di veder finire tutto all’improvviso, brutalmente, mentre siamo al bar, al ristorante o a un concerto. Per questo abbiamo il diritto di chiedere il massimo da chi ha il compito di garantire la sicurezza dentro e fuori le città. Ma, trovando difficile poter esigere la certezza assoluta di quiete, ecco che non possiamo esimerci dal comportarci come parti di un pacifico esercito di cittadini. Incontrarsi, andare a Messa, frequentare i luoghi della cultura, condividere il pasto, essere pellegrini, studiare: tutto questo può volere dire anche morire? Tutt’altro, perché non è questo il livello di rischio al quale siamo sottomessi – l’Istat ci informa che continua a essere drammaticamente più pericoloso guidare l’automobile o passeggiare – e comunque questo non è mai morire, ma vivere. Come le ginestre di Leopardi sulle pendici del Vesuvio non è il caso di piegarsi all’orgoglio o alla codardia, abbiamo l’obbligo della saggezza. Lunedì 7 dicembre, festa di Sant’Ambrogio, come ogni anno a Milano è anche il giorno della Prima della Scala, altro obiettivo considerato a rischio. L’opera che apre la stagione è la verdiana Giovanna d’Arco, santa patrona di Francia. Nella coincidenza sarà difficile non farsi catturare dal desiderio di ascoltare anche lì la Marsigliese, o fare nostra qualche strofa. Ma i «cittadini alle armi» che vogliamo essere non spargono sangue: promuovono la pace e difendono la libertà, combattono l’odio e testimoniano il valore della fratellanza, soprattutto continuando a fare le cose di sempre, le più belle e quelle per cui vale la pena spendere tempo. In una parola: vivono.
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