Trump, i sottomarini nucleari "spostati" e la schermaglia con la Russia
Retorica nucleare banalizzata e minacce reattive nello scontro a parole tra il "falco" Medvedev e Washington. Cosa sono (e perché si muovono) i sommergibili atomici. Il silenzio del Cremlino

Strali verbali, retorica nucleare banalizzata e minacce reattive. Risponde grevemente il presidente statunitense, Donald Trump, alle «dichiarazioni altamente provocatorie» dell’ex presidente russo Dmitrij Medvedev, oggi vice presidente del Consiglio di sicurezza della Federazione russa, uso a far strame della diplomazia e a veicolare messaggi roboanti. Il 28 luglio scorso, Medvedev si è scontrato sulla piattaforma X con il senatore statunitense Lindsey Graham, fautore di un severo inasprimento dell’embargo commerciale e tecnologico contro la Russia, e ha definito un «passo verso la guerra» russo-statunitense quelle minacce e l’ultimatum di Trump al Cremlino di porre fine ai combattimenti in Ucraina entro il prossimo 8 agosto.
Nella sua dialettica farneticante, il 31 luglio, Medvedev ha insultato Graham e Trump e, commentando le dichiarazioni del capo della Casa Bianca sulla morte dell’economia russa, qualora stritolata da sanzioni secondarie, ha aggiunto un velato riferimento alla “manomorta” e alla deterrenza nucleare, suo argomento preferito dall’inizio della guerra in Ucraina. Sebbene Medvedev non abbia alcuna autorità di comando sulla catena di controllo delle forze nucleari russe, Trump si è subito schermito, ordinando il dispiegamento di due sottomarini nucleari nelle «regioni appropriate», per poi ribadire che le «parole sono molto importanti» e che le «dichiarazioni stupide e incendiarie» di Medvedev sono pericolose e possono portare «a conseguenze impreviste».
Tutto ruoterebbe intorno al Perimeter, indirettamente citato da Medvedev, perché questo sistema di comando e controllo automatico ha un’opzione detta “manomorta” che permetterebbe il lancio automatico degli strike nucleari russi in caso di attacco nemico. Non è chiaro se il sistema sia tuttora in pausa e disattivato, come avvenuto per le pressioni statunitensi nel periodo distensivo post-guerra fredda. A livello politico-strategico, vige però l’erede del Kazbek, un sistema di trasmissioni di comando e controllo umano, ritenuto inviolabile, includente gli omologhi russi dei “footballs” americani, diramanti gli ordini di lancio lungo una catena di cui Medvedev non è parte e al cui vertice è il presidente russo, Vladimir Putin, affiancato dal ministro della Difesa e dal capo supremo di Stato maggiore.
Un presidente russo che, avant’ieri, nell’incontro in Carelia con l’omologo bielorusso, Alexander Lukashenko, ha annunciato l’operatività con le forze missilistiche strategiche nazionali del vettore ipersonico, intermedio e duale, Oreshnik, già testato in battaglia a Dnipro, lo scorso 21 novembre, e ora prodotto a pieno regime. Intervistato ieri da Rob Finnerty, conduttore di un programma televisivo statunitense, Trump ha rincarato la dose, dichiarando che la coppia di sottomarini nucleari statunitensi «è più vicina alla Russia». Occultamento, furtività, manovrabilità, autonomia in immersione e potenza pantoclastica scagliabile a sorpresa sono le caratteristiche principali dei sommergibili nucleari, i cui pattugliamenti oceanici e artici sono usuali, permanenti nelle rotazioni periodiche, quindi non nuovi, né sensazionali. Rientrano nel gioco della deterrenza reciproca fra potenze nucleari, comuni a tutti i Paesi che dispongono di una componente ad hoc, perché ne va della credibilità di un secondo colpo nucleare, in una logica di annientamento reciproco, rappresaglia a un primo attacco, da cui siamo fortunatamente lontani.
La retorica trumpiana non sembra impressionare Leonid Ivlev, ex generale dell'aeronautica militare russa, oggi vice presidente della Duma: i due sottomarini «non rappresentano una nuova minaccia per la sicurezza nazionale russa», ha dichiarato l’ufficiale all’agenzia di stampa Tass. Il suo pensiero accomuna altri politici ed esperti, tutti prossimi al Cremlino. Per il politologo Sergei Markov, il presidente degli Stati Uniti avrebbe perso il senso delle proporzioni.
Né il Cremlino, né Medvedev si sono pronunciati, a differenza dell’esperto militare Yuri Fyodorov che ha ammonito: «Se i sottomarini fossero piazzati nei pressi di Cipro, i loro missili nucleari potrebbero raggiungere la Russia centrale in soli 10 minuti». Se pattuglianti nell’Artico, sarebbero a meno di 3mila chilometri dalle città russe. Sfuggenti e semi-invulnerabili, hanno avversari poliedrici nelle armi anti-sommergibile e nei sensori che vanno a caccia di emissioni acustiche ed elettromagnetiche, oltre che di scie magnetotermiche. Che leader di potenze nucleari agitino lo spettro atomico è biasimabile: tradisce nervosismo per l’impasse negoziale in Ucraina e non fa che gettare benzina sul fuoco, ma per i documenti strategici statunitensi e lo stesso Donald Trump la sfida sistemica a quel che resta della supremazia americana viene dalla Cina, non certo dalla Russia.
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