«Su Gaza un primo passo positivo. Ma senza lo Stato di Palestina è un piano monco»

L'ambasciatore Pasquale Ferrara: «Una Authority su Gaza presieduta da Blair? E' come tornare alla Compagnia delle Indie»
October 10, 2025
«Su Gaza un primo passo positivo. Ma senza lo Stato di Palestina è un piano monco»
L'ambasciatore Pasquale Ferrara
«Quando la diplomazia viene lasciata lavorare, alla fine funziona: invece di bombardare i mediatori, come nel caso di quelli del Qatar, bisognerebbe incoraggiarli: non è un caso che proprio il Qatar insieme a Egitto e Turchia abbia favorito questa prima intesa» osserva l’ambasciatore Pasquale Ferrara, ex direttore generale della Farnesina pensando all’intesa raggiunta l’altra notte tra Israele e Hamas. «La seconda questione è la liberazione degli ostaggi e di migliaia palestinesi, spesso detenuti senza processo: tra loro forse anche Marwan Barghuti, un uomo chiave nella prospettiva indicata dal piano Trump di dare maggiore autorevolezza alla all’Autorità palestinese.
La tregua dello scorso inverno fu molto travagliata. Ora c’è la possibilità che lo scambio ostaggi-prigionieri crei fiducia per continuare a trattare?
Sicuramente Trump ha i suoi meriti, ma la prima parte del piano assomiglia molto ad altre due tregue fatte con Biden: 140 ostaggi sono tornati a casa grazie a questi a questi sforzi. L’ultima, a gennaio, non ha avuto lunga durata per mancanza di volontà da parte di Israele, ma anche per un irrigidimento di Hamas. L’accordo dell’altra notte è molto positivo, è fondamentale per la gente di Gaza: si parla di almeno di 400 camion con aiuti umanitari che cominciano a ritornare nella Striscia. In questa prima tranche negoziale si parla anche di ritiro parziale di Idf, immagino dalle aree abitate. Il diavolo, però, sta nei dettagli: Hamas parla di un ritiro totale dalla Striscia, ma questo non è mai stato all’ordine fine del giorno. Israele manterrà una zona cuscinetto dentro Gaza e lungo il perimetro della Striscia. Un passaggio dunque dunque molto complesso.
La speranza è poi di implementare il cessate il fuoco con una tregua duratura e poi un accordo politico. Ambasciatore Ferrara, come giudica l’intera Road map del piano Trump?
Ci sono dei punti molto vaghi: la governance di Gaza, la ricostruzione senza contare che l’approdo finale dovrebbe essere uno Stato palestinese. Un piano vago e impalpabile quanto a concretezza. Sembra che le attuali soluzioni siano inventate dal nulla, ma in realtà lo scorso marzo la Lega Araba ha messo sul tavolo un suo piano in cui era prevista un’autorità interinale per Gaza con il pieno coinvolgimento dell’Anp, un comitato di “tecnici” ma che non marginalizzasse l’Autorità. Questo punto è fondamentale: non trattare Gaza come un’entità separata da quanto accade poi in Cisgiordania. È fondamentale coinvolgere le istituzioni palestinesi che , forse ancora preparate, vanno tenute nel contesto per non procedere in modo parcellizzato: è l’ultima cosa che i palestinesi vogliono.
L’enfasi data a una Autorithy presieduta da Blair non fa intendere altri interessi?
Mi pare che la dimensione immobiliarista non sia assente: rientra dalla finestra il progetto della Riviera. Ma soprattutto è un piano di governo di Gaza paracadutato dall’esterno in un’ottica neocoloniale: una nuova Compagnia delle Indie Orientali che sembra riportare l’orologio della storia indietro. Credo che questo sia offensivo per i palestinesi, quasi che fossero una popolazione non in grado di autodeterminarsi, non in grado di decidere come devono essere gestiti. Naturalmente nella prima fase c’è bisogno di un forte investimento politico esterno e non solo per la ricostruzione, ma anche per rimettere in piedi le istituzioni. Se no resta un piano emergenziale, ma monco.
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