«Stupri etnici e massacri in Darfur. Fermate il genocidio dei Masalit»
L'appello all'Onu, alla comunità internazionale e a Papa Leone del sultano della popolazione africana, vittima per la seconda volta in 20 anni di pulizia etnica da parte delle tribù arabe.

La situazione umanitaria in Sudan sta inesorabilmente peggiorando. L’agghiacciante conferma viene da Stéphane Dujarric, portavoce del Segretario generale delle Nazioni Unite che ha denunciato un'epidemia di colera a Khartum, la capitale, dove le infrastrutture sono state distrutte. Gli aiuti umanitari arrivano in Darfur e a port Sudan, ma non bastano per 14 milioni di sfollati in quella che è la peggior crisi umanitaria globale. I tagli a Usaid decisi dall'amministrazione Trump e il calo delle donazioni stanno aggravando il quadro. Mentre Medici senza frontiere, che non ha mai abbandonato il Paese, rilancia la tragedia degli stupri etnici che colpiscono la popolazione del Darfur, soprattutto i Masalit.
E proprio da un leader dei Masalit giunto in Italia si leva un appello disperato alla comunità internazionale perché fermi il genocidio silenzioso del suo popolo in Darfur occidentale. E a papa Leone perché continui a levare come papa Francesco la sua voce a favore degli oppressi vittime della guerra dimenticata in quella che viene considerata la più grande crisi umanitaria globale con 14 milioni di sfollati. Saad Abdelrhaman Bahareldin è il sultano dei Masalit, la popolazione nilo sahariana vittima di massacri e stupri etnici nella regione occidentale sudanese compiuti dal 2023 dalle Forze di supporto rapido (Rsf) e le milizie loro alleate e messa in fuga a decine di migliaia verso Ciad e Sud Sudan. Il sultano era nei giorni scorsi a Roma su invito della Comunità di Sant’Egidio per cercare vie di dialogo e parlare della protezione dei civili. «Il mio popolo sta vivendo una situazione tragica - esordisce il sultano - . Molti di loro sono stati espulsi dalla loro terra e sono stati vittime di atroci violenze da parte delle Rsf e delle milizie loro alleate per sradicarle dal Darfur. Ora vivono nei campi profughi dove hanno bisogno di cibo, acqua e medicinali e i bambini non possono andare a scuola. Il futuro delle prossime generazioni è compromesso».

Nel 2003 le tribù Masalit erano tra i gruppi ribelli che, prima della secessione del Sud Sudan, hanno combattuto contro il governo centrale di Khartum guidato dal dittatore Al Bashir e la milizia filo governativa Janjaweed. Nella guerra civile del 2023 le Rsf (successori dei Janjaweed) hanno lanciato una nuova campagna di pulizia etnica in Darfur - terra ricca di oro e uranio che interessano gli Emirati arabi e i russi - per sostituire gli abitanti di etnia i Masalit con persone di origine araba provenienti dalla cosiddetta Baggara Belt che va dal Sudan al Camerun e comprende anche la Libia orientale. «Chiedo alle agenzie umanitarie - prosegue il leader dei Masalit - e all’Onu di aiutarci. E allo stesso tempo chiedo alla comunità internazionale di aiutarci a sopravvivere nei campi profughi dove la gente è bloccata da oltre un anno. Attorno alla città di El Fasher, l’unica in Darfur ancora in mano all’esercito nazionale, ci sono centinaia di migliaia di rifugiati nei campi di Zam Zam e Abu Shouk assediati e bombardati. Chiedo alla comunità internazionale di intervenire per fa cessare il genocidio in corso».
Le Rsf hanno intanto trasformato il campo di sfollati di Zamzam, nel Nord Darfur, in una base di artiglieria e lo utilizzano come base da cui bombardare El Fasher. Dopo averlo attaccato a metà aprile oggi ne hanno il pieno controllo e secondo la rete femminile Siha (Strategic initiative for women in Horn of Africa) dopo aver importo un blackout comunicativo stanno commettendo indicibili atrocità con stupri di gruppo e uccisioni di civili. L’esercito è stato accusato dagli Usa di aver usato armi chimiche anche in queste aree e per questo Washington vuole imporre nuove sanzioni. Intanto nelle città le case dei Masalit scacciati dal Darfur vengono occupate da persone di origine araba provenienti da altri Paesi. «La speranza - prosegue Saad Abdelrhaman Bahareldin - e la volontà della maggioranza dei sudanesi è che il nostro paese resti unito. Credo ancora che le tribù e le comunità possano ritrovare un accordo per tornare a convivere in pace. Voglio ringraziare papa Francesco per aver sempre levato la sua voce a difesa degli oppressi in Sudan, era un uomo di pace e ci auguriamo che anche il nuovo papa Leone continui sulla stessa strada. I Masalit ripongono grande speranza in lui».
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