Shutdown Usa, dietro le quinte del «sì» dopo il record di 40 giorni
La legge di bilancio al centro del braccio di ferro tra dem e repubblicani, dopo il Senato approda domani alla Camera. Gli effetti dello stop continuano però a farsi sentire: cancellati 1.156 voli.

Adesso tocca alla Camera dei Rappresentanti. Qui, dove Trump gode di una maggioranza "comoda", approda domani la legge di bilancio varata lunedì dal Senato dopo il braccio di ferro tra democratici e repubblicani che ha causato lo shutdown più lungo della storia degli Stati Uniti. Lo stallo che ha paralizzato per 40 giorni l'amministrazione federale è stato superato grazie al voto favorevole di otto senatori dem. Gli effetti del blocco si fanno però sentire ancora. Anche oggi sono stati cancellati 1.156 voli. Potrebbero volerci settimane, prima che il traffico aereo torni alla normalità. Nel giro di pochi giorni, invece, i dipendenti federali in congedo non retribuito dovrebbero tornare in servizio. Chi ha lavorato senza percepire stipendio incasserà gli arretrati. Le famiglie a basso reddito riceveranno di nuovo i sussidi alimentari.
A suo modo, quello sullo shutdown è un voto di scambio. Quello che da sempre le volpi del Congresso e i veterani della politica che si sfidano fra la Casa Bianca e le mura del Campidoglio sanno maneggiare e negoziare con sottigliezza e perizia. Dopo quaranta giorni di blocco, l’accordo bipartisan con 60 voti favorevoli e 40 contrari approvato ieri in Senato pone termine (per il momento, almeno) allo shutdown più lungo della storia americana grazie alla diserzione di otto senatori democratici che hanno votato con i repubblicani e contro le indicazioni dei leader del loro partito.
L’accordo prevede un finanziamento temporaneo di tre mesi, valido fino al 30 gennaio, per garantire la continuità dei servizi governativi essenziali, tra cui la revoca dei 4mila licenziamenti fatti dall’Amministrazione Trump durante lo shutdown e la garanzia fino al prossimo settembre dei fondi per i food stamp, i buoni alimentari vitali per quarantadue milioni di americani. Dell’Obamacare se ne riparlerà a dicembre. Il pacchetto dovrà ora passare alla Camera dei rappresentanti, prima di arrivare sulla scrivania del presidente Trump per la firma. Tutto può ancora accadere, ma The Donald ha già fatto di questo agreement una vittoria ai punti da brandire davanti al proprio elettorato.
La storia patria insegna molte cose, e Trump ne ha capita una fondamentale: l’Antideficiency Act è una legge che vieta alla pubblica amministrazione di spendere denaro senza l’approvazione del Congresso, ma finisce quasi sempre per penalizzare chi fa troppa resistenza. Il primo shutdown lo affrontò nel 1980 Jimmy Carter, dieci anni dopo toccò a George Bush senior, che per ridurre il deficit aveva accettato di negoziare - proprio lui che aveva giurato solennemente di non alzate le imposte - un aumento delle tasse con i democratici. Il che gli valse una fronda nel partito repubblicano che fece precipitare il suo consenso presso l’elettorato e gli costò la rielezione. Nel 1995 Bill Clinton si ritrovò ventun giorni di shutdown a causa del rifiuto dello speaker repubblicano del Senato Newt Gingrich di approvare il bilancio senza tagli draconiani alla spesa sociale e al sistema sanitario. Risultato: ottocentomila dipendenti pubblici a casa, musei e i parchi nazionali chiusi e disagi a catena in tutto il Paese. Ma fu Gingrich e non Clinton a farne le spese. Il presidente ne uscì rafforzato, il corrusco Torquemada del Senato perse seguito e appoggi. Anche Barack Obama nel 2013 scontò sedici giorni di blocco federale per l’opposizione repubblicana al suo Affordable Care Act (meglio noto come Obamacare).
Ottocentocinquantamila lavoratori federali vennero sospesi e vi fu una perdita economica che sfiorò i 25 miliardi di dollari. Ma i sondaggi penalizzarono sia i repubblicani sia il movimento Tea Party, che aveva sostenuto il blocco. Lo stesso Trump è un veterano dello shutdown: nel 2018-2019 il bilancio federale restò congelato per 35 giorni, un record assoluto, a causa dell’opposizione dem alla richiesta del presidente di 5,7 miliardi di dollari per finanziare il muro di confine con il Messico. Trump fu costretto a riaprire il governo senza ottenere i fondi richiesti. Anche Joe Biden aveva sfiorato lo shutdown, evitandolo all’ultimo minuto.
Il conto da pagare oggi è molto salato: il Congressional Budget Office stima che lo shutdown sia costato circa 15 miliardi di dollari a settimana, con un impatto sul Pil del quarto trimestre pari a 1,5 punti percentuali. Grande, intanto, è lo scompiglio in casa dem. Le chat interne dei deputati democratici alla Camera si sono infuocate man mano che trapelavano i dettagli dell’accordo. "La gente è furiosa - ha detto un deputato centrista -, questo è un pessimo accordo e un totale fallimento nell’usare la nostra leva politica per ottenere qualcosa di concreto". La disfatta dem accende l’ottimismo a Wall Street, termometro implacabile della ricerca del profitto: Borsa e Nasdaq sorridono e aprono in rialzo. Chissà perché…
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