Se i "terroristi" uccisi a Ramallah avevano 30 anni in due

Le storie di Bilal e Mohammad: per l’esercito israeliani i due ragazzini erano armati di molotov. Ma il loro villaggio denuncia una messa in scena dei coloni
November 18, 2025
Se i "terroristi" uccisi a Ramallah avevano 30 anni in due
I funerali del 15enne palestinese Yamen Samed Hamed, ucciso vicino a Ramallah il 30 ottobre 2025, colpito dalle truppe israeliane durante un attacco al suo villaggio / EPA/ALAA BADARNEH
Il corpo di Bilal è supino. Un braccio disteso, l’altro sul petto, la testa coperta dal passamontagna adagiata sui sassi. A mezzo metro la piccola bottiglia di vetro. Una plastica nera ne avvolge il collo, dentro un liquido lattiginoso. Mohammad è riverso sul limitare della vigna, un piede poggiato sul tubo d’irrigazione, una cuffia e il cappuccio della felpa sul volto cianotico. La morte dei due ragazzi è nelle foto scattate dall’esercito israeliano, che giovedì scorso, quando l’uccisione è avvenuta, ha descritto l’episodio come «l’eliminazione di due terroristi che si preparavano a compiere un attacco nell’insediamento di Karmei Zur». Bilal Sabarnah e Mohammad Ayyash avevano 15 anni, erano amici inseparabili e compagni di classe nella scuola superiore di Beit Ummar, piccolo centro di 23.000 abitanti a 40 chilometri da Ramallah. La cittadina, gemellata a Ivrea e dedita prevalentemente all’agricoltura, è assediata dalle colonie illegali israeliane: Karmei Zur, Bat Ayin, Kfar Etzion, Efrat, la strada 60 a est. Quasi ogni notte una casa viene visitata dai soldati, messa a soqquadro e sconvolta dalle urla, dalle percosse, dalle umiliazioni, dall’abbaio feroce dei cani. La verità di Beit Ummar sull’assassinio di Bilal e Mohammad è diversa da quella offerta dalla ripetitiva velina israeliana. La racconta ad Avvenire il sindaco Nasri Sabarnah nella sala municipale dove gli uomini sono raccolti per piangere Bilal: «Le famiglie qui sono povere, i ragazzi dopo la scuola sono andati a lavorare nei campi per guadagnare 10 shekel, circa tre euro. Piovigginava, faceva freddo, per questo indossavano la cuffia e il passamontagna».
A ucciderli non è stato l’esercito, ma la guardia della colonia di Karmei Zur. Ha fermato la macchina sulla strada che cinge la collina, e sparato. I ragazzi erano distanti almeno 200 metri. Poi i coloni hanno collocato la molotov per giustificarsi. Non sarebbe la prima volta. C’erano altri agricoltori che lavoravano, nei campi vicini: «Ma voglio accettare per un attimo che Bilal e Mohammad avessero cattive intenzioni. Cosa potevano fare a 200 metri dalle reti che proteggono la colonia? In passato li avrebbero arrestati, o mirato alle gambe. Ma ora, con i ministri Ben-Gvir e Smotrich al potere, l’ordine è quello di uccidere». In ottobre gli attacchi dei coloni sono stati 260. Circa otto al giorno: incendi di automezzi, campi e case, furti, ferimenti, omicidi. Mai così dal 2006. La settimana scorsa perfino il presidente israeliano Isaac Herzog è stato costretto a definire i misfatti dei coloni «gravi e sconvolgenti». Ma le reprimende di Tel Aviv si manifestano solo quando i «giovani delle colline» resistono con violenza al contenimento di esercito e polizia. Per il resto si assiste a un’azione incontrastata e sostenuta dalle forze estremiste dell’esecutivo, ignorata dal sistema giudiziario.
Nella sala silenziosa entra il padre di Bilal, Baran, i grandi occhi celesti cerchiati di rosso, le spesse mani ruvide del contadino. I servizi segreti lo hanno appena rilasciato, era stato prelevato all’alba per un interrogatorio: «Mi hanno minacciato. Chiunque si avvicini alla rete, uomo, donna, vecchio, dovesse anche avere un anno, loro lo uccideranno», riesce a dire. «Sono sindaco da 14 anni, abbiamo degli amici dentro le colonie. Anche loro sono spaventati dalla deriva di Israele. Abbiamo bisogno di un altro Rabin, dei Paesi arabi, della comunità internazionale. Il futuro è oscuro», afferma Nasri Sabarnah. La grande officina di famiglia si affaccia sulla casa di Mohammad Ayyash. Ci lavorava il padre prima di morire, sei anni fa. Ora alla madre Huda restano tre giovani ragazze e due gemelli di cinque anni, Ali e Sara: «Mohammad aveva paura dei coloni e dell’esercito. Era un bravo bambino. Voleva diventare in fretta uomo per aiutare me e le sorelle», racconta nel salotto dove riceve le visite di cordoglio. Secondo l’Onu, sono 211 i minori palestinesi che l’esercito israeliano e i coloni hanno ucciso dal 7 ottobre 2023 al 13 novembre 2025 in Cisgiordania (West Bank). I corpi di Bilal e Mohammad non sono ancora stati restituiti alle famiglie.
Sugli attacchi dei coloni è intervenuto anche il vicario generale del Patriarcato latino di Gerusalemme, monsignor William Shomali: «Estremisti, spesso armati, stanno esercitando una pressione sistematica per rendere insostenibile la vita delle comunità palestinesi, spingendole all’esodo forzato».

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