Sciiti a caccia di un premier a Baghdad

Dopo il voto delle politiche spetta a loro la guida del governo, ma la scelta del nome e le alleanze passano ancora da Teheran
November 15, 2025
Sciiti a caccia di un premier a Baghdad
Il premier uscente iracheno Mohammed Shia al-Sudani/ ANSA
È un Iraq diviso quello che è uscito dalle urne. I risultati provvisori delle elezioni di martedì hanno sancito ancora una volta un Parlamento frammentato con difficili prospettive per la formazione di un nuovo governo. Se, infatti, è vero che la coalizione Ricostruzione e sviluppo, guidata dallo sciita Mohammed Shia al-Sudani, risulta la più votata a livello nazionale, rimane altrettanto vero che quei 46 seggi sono insufficienti per garantire un secondo mandato a Sudani. Il “contributo” dei principali alleati, il Pdk curdo di Massoud Barzani e Taqaddum (Progresso) del sunnita Mohammed al-Halbousi, arrivati rispettivamente al secondo e al terzo posto, porta Sudani a quota 100 voti, ma siamo ancora ben lontani dalla maggioranza dei 165 voti necessaria per ottenere l'agognata riconferma.
Un'intricata situazione, questa, che impone al premier uscente di scendere a trattative con i suoi oppositori raccolti nel Quadro di coordinamento sciita (Qcs), una coalizione di partiti legati in diversa misura all’Iran, in particolare con l'ex premier Nouri al-Maliki che cerca anch'egli di accaparrarsi la presidenza dell'esecutivo.
Una partita tutta sciita, insomma, quella che si giocherà nelle prossime settimane. L'iter istituzionale, una volta la Corte federale suprema avrà validato il risultato delle elezioni, prevede prima l'elezione di un nuovo presidente del Parlamento (sunnita, seconda la consuetudine post-Saddam), seguita dall'elezione di un presidente della Repubblica (un curdo), stavolta con la maggioranza dei due terzi, il quale darà l'incarico di formare un esecutivo a un premier sciita che avrà 30 giorni per presentare la sua squadra. Nel 2021 ci è voluto un anno per completare il processo.
Non è escluso che le tre massime cariche dello Stato facciano oggetto di un “deal” complessivo tra le forze politiche. Il tutto sotto l'occhio vigile di Washington e Teheran i cui opposti interessi condizionano fortemente la politica irachena. L'uomo d'affari di origine irachena Mark Savaya, un cattolico-caldeo nominato a ottobre come inviato speciale Usa per l'Iraq, ha dichiarato prima dello scrutinio che «gli Stati Uniti sono al fianco dell’Iraq che avanza forte, indipendente e libero dalle milizie sostenute dall’estero». Fonti locali affermano che gli Usa sono tornati recentemente a premere su Baghdad non solo per il disarmo, ma ora anche per l'esclusione da qualsiasi futuro governo, di sei milizie sostenute dall'Iran. Una di queste è Kata'ib Hezbollah (le Brigate partito di Dio), il cui braccio politico Huquq avrebbe portato al nuovo Parlamento sei rappresentanti.
La questione del disarmo e i rapporti con l'Iran hanno animato nei mesi scorsi il dibattito interno, anche alla luce dell'indebolimento dell'asse guidato da Teheran e le crescenti minacce di intervento militare israeliano. E probabilmente influenzerà i negoziati sulla formazione del governo, con alcune forze sciite che propongono di integrare le milizie nelle cosiddette Forze di Mobilitazione popolare, create nel 2014 per combattere il Daesh e successivamente istituzionalizzate.
A una certa distanza da questo braccio di ferro si mantiene Muqtada al-Sadr, che ha deciso di boicottare il voto. Resta però molto influente. . L’affluenza più bassa è stata infatti registrata nelle province meridionali a maggioranza sciita: una media del 45 per cento contro il 67 registrato nelle tre province che costituiscono la regione autonoma del Kurdistan.

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