Putin su, Von der Leyen giù: il vertice in Alaska ha ridisegnato gli equilibri
L'esito del vertice in Alaska sembra un ritorno al futuro. Forse bastava una mail per sintetizzare un risultato che restituisce al russo il crisma di partner mondiale al livello di quello americano

A quanto si capisce, Kiev dovrà rinunciare a tutto. All’intero Donbass, al Lugansk, alla Crimea, all’area di Mariupol, ai dintorni di Kherson e Zaporizhzhia. In cambio Putin offre un cessate il fuoco nel resto del Paese lungo le attuali linee di battaglia e la promessa scritta di non attaccare più l'Ucraina o qualsiasi altro Paese europeo. Di questo, che ha tutta l’aria di un’offerta che non si può rifiutare, parlerà Donald Trump con Zelensky lunedì. In cambio Kiev avrà (avrebbe) la pace e garanzie di sicurezza simili a quelle della Nato, ma senza farvi parte.
L’esito del summit di Anchorage sconcerta. In quelle tre ore di Alaska, terra un tempo zarista, oggi landa petrolifera ricca di materiali strategici, Trump e Putin hanno parlato di affari, di petrolio, di gas, di passaggi a nordovest. Ma, ironizzano i media meno proni alla Casa Bianca, «forse bastava una e-mail» per sintetizzare l’esito di un vertice che restituisce a Mad Vlad il crisma di un partner mondiale allo stesso livello di quello americano.
A ben vedere il tutto sembra un ritorno al futuro: il ministro Lavrov che sbarca negli Usa con una t-shirt targata Cccp, il leggendario acronimo sovietico che in cirillico sta per Sojuz Sovetskich Socialistièeskich Respublik. Ma anche il pit-stop di Putin in Siberia offre suggestioni antiche: come la sosta a Magadan, porta d’ingresso della Kolyma, l’universo concentrazionario staliniano raccontato da Varlam Šalamov dove si spense la vita del poeta Osip Mandel'štam. E che dire dello spot veicolato dal Cremlino, dove Putin e Trump sorridono nell’animazione con il sottofondo di “Maybe I maybe you”, inno protopacifista degli Scorpions del 2004 (Forse io, forse tu / Possiamo trovare la via per le stelle / cogliere lo spirito della speranza / per salvare un cuore senza speranza)?
Ma guardiamoli bene, quei due. Tappeto rosso e sorvolo d’onore delle fortezze volanti, mano nella mano, Putin accolto come un eroe, anzi, quasi una vittima da riconfortare, accomodato nell’auto ipersicura di The Donald. Un trionfo per l’uomo del Cremlino, che doveva essere il pariah del mondo messo in ceppi su mandato della Corte penale internazionale e si ritrova sugli altari, agile e scattante a scapito di un Donald Trump che sembra quasi la brutta copia di “Sleepy” Joe Biden.
Difficile contraddire la spietata Maria Zakharova: «I media occidentali sono in uno stato di frenesia: per tre anni hanno riferito che la Russia era isolata, e oggi hanno visto un tappeto rosso steso per accogliere il presidente russo negli Stati Uniti».
Più diplomatiche entrambe le delegazioni: «Un incontro produttivo e costruttivo», reclamano russi e americani, questi ultimi scimmiottando il gergo dell’indimenticabile Mr Nyet Andrej Gromyko. Ma di fatto il summit di Anchorage sancisce il ritorno alla grandezza sovietica di Vladimir Putin senza concedere alcunché all’avversario americano. E soprattutto senza tenere in alcun conto la voce dell’Europa e quella del vaso di coccio Volodymyr Zelensky. Di fronte all’azzeramento d’immagine del Vecchio continente risalta perfino la stella del satrapo bielorusso Lukashenko, resuscitato dall’oblio con i ringraziamenti della Casa Bianca per aver concesso di liberare quattordici prigionieri politici. «Non c'è accordo finché non c'è un accordo», borbotta Trump, che punta a un accordo globale senza passare attraverso il cessate il fuoco.
E la Ue? La Von der Leyen? Merz? Starmer? Macron? L’Italia? La pace, sibila farisaicamente l’agenzia Tass «ora è tutta nelle mani dell'Europa e di Kiev, che deve scegliere tra concessioni territoriali e guerra». «Più che un summit – dice l'analista russa Tatiana Stanovaya – si è trattato di un evento bilaterale ridotto, con “risultati minimi: non un fallimento, ma neanche un successo». C’è del vero. Vedremo come la prenderanno i “volonterosi” e lo stesso Zelensky. Per ora, grande è il disorientamento nelle cancellerie alleate. «Next time in Moscow», ha motteggiato Putin lasciando Anchorage, invitando un imbambolato Donald Trump al prossimo giro di giostra nella Piazza Rossa. Come ai tempi di Breznev e Nixon. Che ritorno al futuro sarebbe, altrimenti?
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