Perché sul clima si sta fallendo: le parole di Leone XIV
di Lucia Capuzzi, inviata a Bélem
Il videomessaggio del Papa alla Cop30 di Belém: quel che manca è la volontà politica di alcuni paesi. Ma la vera leadership significa servizio

«Che sia ricordato come il luogo in cui in cui l’umanità ha preferito la cooperazione alla divisione e alla negazione». La voce di Leone XIV, in inglese, risuona sulle rive del Rio Guamá, uno degli ultimi affluenti del Grande Fiume prima di tuffarsi nell’Oceano. Là, nel cuore dell’avveniristico progetto Porto Futuro II, sorge il nuovissimo Museu das Amazônias con la sua struttura di legno massiccia e accogliente. Una propaggine della foresta che circonda Belém e che l’iniziativa vuole raccontare. I corridoi allestiti con le foto di Sebastião Salgado e la collettiva di artisti del Pará conducono alla sala conferenze dove è stata appena collocata una enorme rete colorata. La “rete del Sinodo”, l’hanno soprannominata, perché ha accompagnato l’assise straordinaria di vescovi da tutto il mondo convocata da papa Francesco a Roma nel 2019. Le Chiese del Sud del mondo, per mano dei sei cardinali presenti alla Conferenza Onu sul clima (Cop30) – i brasiliani Jaime Spengler e Leonardo Steiner, il peruviano Pedro Barreto, il congolese Fridolin Ambongo, l’indiano Felipe Neri Ferrao e il filippino Pablo David – l’hanno donato al museo. Un omaggio alla “Querida Amazônia” che con «il suo splendore, dramma, mistero» – scrive Francesco nell’omonimo testo - è emblema e cartina di tornasole del creato tutto.
Un creato che grida il suo dolore «attraverso inondazioni, siccità, tempeste e caldo implacabile», ha detto ieri Leone, rinnovando con un videomessaggio il proprio appello a difesa della casa comune, dopo il suo testo letto dal cardinale Pietro Parolin all’inizio dei lavori. «Una persona su tre vive in situazione di grande vulnerabilità a causa dei cambiamenti climatici», afferma il Pontefice: ignorarle «significa negare la nostra comune umanità». I loro volti sono l’antidoto più tangibile di fronte alla tentazione della disperazione e del disfattismo. Si tratta piuttosto di rinnovare la speranza e la determinazione. «Non solo con le parole e le aspirazioni, ma anche attraverso azioni concrete», sottolinea Leone. E aggiunge, scandendo le parole: «L’Accordo di Parigi ha portato progressi concreti e continua a essere il nostro strumento più forte per proteggere le persone e il pianeta. Dobbiamo essere onesti: non è l’Accordo che sta fallendo, siamo noi che stiamo fallendo nella risposta. Quel che manca è la volontà politica di alcuni. Vera leadership significa servizio» per fare la differenza. È interesse di tutti. Azioni e politiche ambientali più forti creeranno sistemi economici «più forti ed equi», sono, dunque, «un investimento in un mondo più giusto e stabile».
Sullo sfondo della «rete del Sinodo», il Papa ha esortato a camminare «al fianco di scienziati, leader e pastori di ogni nazione e credo. Siamo custodi del creato, non rivali per le sue spoglie». Sosteniamo pertanto tutti – ha concluso - tutti «con incrollabile solidarietà» l’Accordo di Parigi e la cooperazione climatica. Il messaggio, inequivocabile, arriva in un tempo decisivo. Il negoziato tecnico della Cop è concluso. Da ieri, con l’arrivo a Belém dei rappresentanti dei governi, il vertice entra nel momento politico, quello delle scelte. A 96 ore dalla fine, al netto di rinvii, la presidenza brasiliana spinge. Il diplomatico André Corrêa do Lago ha inviato ieri una nota di sintesi che sembra lo scheletro della “cover decision”, la decisione politica attesa alla fine. Prima ci sono le posizioni espresse dalle parti sui quattro temi in cui c’è una convergenza: impegno dei Paesi ricchi ad aiutare gli Stati più poveri per far fronte all’emergenza, aumento dell’ambizione nei piani nazionali, misure commerciali, trasparenza. Dalla pagina 4 in poi sono menzionate le questioni controverse ovvero quelle su cui si misurerà il risultato della Cop: triplicare i finanziamenti per l’adattamento ai più vulnerabili e la transizione da petrolio, gas e carbone. Su quest’ultimo punto, il Brasile ormai ha scoperto le carte. Dopo aver escluso il tema dall’agenda per discuterlo sottotraccia, la ministra dell’Ambiente, Marina Silva, ha parlato chiaramente della necessità di avere il «coraggio» di uscire dall’era fossile attraverso una roadmap. Dare il primo passo alla sua costruzione, a due anni dalla storica decisione di Dubai, è la scommessa della Conferenza amazzonica. Nel testo, «è presente uno spazio per esplorare opportunità, barriere e fattori abilitanti. In questo senso è positiva», sottolinea Luca Bergamaschi, direttore del think tank Ecco. Una sessantina di Paesi sosterrebbero l’opzione. Più dei numeri a pesare è l’opposizione saudita, il demolitore per antonomasia di ogni summit climatico. In gioco ci sono i 170mila dollari al minuto prodotti da Aramco, la compagnia del Regno e maggior colosso petrolifero del pianeta, indispensabili per mantenere il favore della popolazione con i sussidi e dare slancio al soft power internazionale.
Per Riad l’addio ai fossili è una minaccia esistenziale e come tale la tratta, alternando ostruzionismo, negazione a oltranza, screditamento delle posizioni scientifiche. Stavolta, a giudicare dall’intervento di ieri di Mohammed bin Salman (MbS), non sembra diverso. Anzi, ora i sauditi possono contare sulla sponda Usa. Da Bélem, bin Salman volerà oggi verso Washington per incontrare Donald Trump alla Casa Bianca.
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