Per il clima si prega e si marcia: «Ascoltate gli ultimi»
di Lucia Capuzzi, inviata a Belém
Una processione ha inaugurato la maratona di preghiera che farà da cornice all’ultima settimana del vertice. L’appello delle comunità cristiane: «La fede sia motore della conversione ecologica»

Oscar Romero, vescovo salvadoregno e icona di una Chiesa fedele al Regno e per questo capace di restare al fianco degli oppressi, fino alle estreme conseguenze. Margarida Maria Alves, laica e sindacalista, voce potente e coraggiosa dei contadini sfruttati durante l’ultima dittatura militare brasiliana. Gli Yanomami, popolo indigeno che riassume nella propria storia di massacri ciclici – l’ultima emergenza è del 2022 – le ferite della colonizzazione vecchia e nuova. Chico Méndez, appassionato difensore della foresta. E, ovviamente, Dorothy Stang, assassinata per aver denunciato gli abusi dei latifondisti a settecento chilometri a sud di Belém, sempre nello Stato del Pará. Cinque “martiri” nel senso letterale del termine: testimoni dell’ecologia integrale, il processo di conversione indispensabile per garantire la vita del pianeta e dei suoi abitanti. Cinque biografie che rappresentano migliaia e migliaia di altre: perché nel Sud del mondo la difesa dell’ambiente non è «moda verde» bensì lotta disarmata contro interessi miliardari e feroci. I loro nomi sono risuonati nell’Avenida Nazaré, illuminata a giorno. Ancora ci sono le luci del “Cirio de Nazaré”, la processione cattolica più partecipata al mondo: tre milioni di fedeli si radunano intorno al cero trasportato con una corda lunga 400 metri, ogni anno, la seconda domenica di ottobre, in omaggio alla Vergine. Di nuovo ora la statuetta di legno di Maria do Nazaré – trovata, secondo la tradizione, dall’indigeno Plácido sulle rive del fiume – ha percorso l’omonima via guidando la “Marcia dei martiri” con cui la Chiesa ha voluto cominciare le giornate di preghiera e riflessione in occasione della Conferenza Onu sul clima (Cop30).
«Affidare il vertice ai martiri indica la gravità della questione affrontata e l’urgenza di trovare soluzioni concrete», spiega Paolo Andreolli, vescovo ausiliare di Belém mentre i partecipanti sfilano tenendo in mano un lungo drappo azzurro che rappresenta il Rio delle Amazzoni. Nell’ultimo anno e mezzo, con l’arcivescovo, Júlio Endi Akamine, hanno lavorato le principali organizzazioni cattoliche, su incarico dell’arcidiocesi, per organizzare l’accompagnamento della Chiesa al summit. Quattro poli sparsi per Belém – il collegio di Santa Caterina, la Facoltà Cattolica, il Santuario di San Giovanni Battista e il complesso di Santa Barbara – in cui nell’arco della settimana si discute di altrettanti temi: impatto sociale, educazione, coinvolgimento dei giovani e sostenibilità. Al contempo, al Palacio da Cidade si svolgono una serie di momenti per portare il messaggio degli ultimi dentro il centro dei negoziati. Come quello sul dialogo socio-ambientale, in collaborazione tra l’Onu e il Consiglio episcopale latinoamericano, coordinato da Emilce Cuda, segretaria della Pontificia commissione per l’America Latina. In entrambi gli spazi – nel cuore delle trattative tra i leader internazionali e nella città dove è mobilitata la gran parte della società civile –, le Chiese di tutti i cinque Continenti hanno voluto lanciare il proprio appello comune perché la Cop sia davvero motore di trasformazione. «La nostra proposta è semplice e si riassume in una parola: implementazione. Chiediamo ai Paesi di mettere in atto gli impegni presi nei vertici precedenti, in particolare quello di Parigi», sottolinea il cardinale Jaime Spengler, presidente della Conferenza dei vescovi del Brasile e del Celam.
«Il Sud del mondo soffre con particolare drammaticità le conseguenze dell’emergenza per la quale ha meno responsabilità. Per questo, il principio guida dell’azione ambientale deve essere la giustizia climatica – prosegue –. La fede cristiana ci aiuta nel processo di conversione ecologica. È sufficiente pensare alle preghiere liturgiche dove ripetiamo che Dio è Creatore. Se il mondo è opera delle sue mani non possiamo distruggerlo né distruggerci: tutte le vite contano». «È quest’ultimo il punto centrale – afferma il cardinale congolese Fridolin Ambongo, alla guida del Simposio delle Conferenze episcopali dell’Africa e del Madagascar –: recuperare il valore dell’essere vivente e metterlo al di sopra della fame di denaro e potere. Quando le grandi compagnie vengono in Africa a estrarre minerali per rivenderli nel mercato internazionale pensano solo a quanti soldi faranno non ai campi devastati o ai fiumi avvelenati. O a giovani costretti a partire e condannati a morire nel deserto o nel mare». «Tutto è collegato. Per questo se si vuole davvero promuovere la convivenza fra i Paesi e i popoli, che implica la giustizia, è necessario fare pace con la Terra», ribadisce il cardinale indiano Felipi António Sebastião do Rosário Ferrão, presidente della Federazione delle Conferenze episcopali dell’Asia, che ha ricordato il documento elaborato dalle Chiese del “sud globale”, presentato a luglio e ispirato da “Laudato si’” di papa Francesco e dai messaggi di Leone XIV. Al loro grido di uniscono l’Oceania che annaspa, rappresentata da Ryan Jiménez, presidente della Conferenza dei vescovi del Pacifico e Europa, con il cardinale Ladislav Nemet, vicepresidente del Consiglio delle Conferenze episcopali europee, insieme al nunzio vaticano in Brasile, Giambattista Diquattro. Tutte le voci, come gli affluenti del Rio, si fanno canto e preghiera in Avenida Nazaré: «Vite per la vita».
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