
Ansa
In guerra la pietà, la verità e la giustizia muoiono subito, sotto i primi colpi sparati dai due fronti. Nelle Guerre mondiali, nei grandi conflitti asiatici degli anni Cinquanta e Sessanta e fino alla prima guerra dell’Iraq succedeva solo in quelle drammatiche occasioni. Poi la ricostruzione dei principi del diritto ricomincia, salvo finire nuovamente in frantumi nello scontro armato successivo e “tradizionale”, cioè di eserciti contro eserciti. Poi c’è stata la dissoluzione della Jugoslavia, sono avvenuti i genocidi africani. Per arrivare quindi alla nascita (artificiale spesso, indotta per ragioni di geopolitica esportata dai servizi segreti) del jihadismo. E forse è vero quello che si diceva che, dopo l’11 settembre nulla sarebbe stato più lo stesso. Lo svilupparsi, da allora in poi, delle guerre asimmetriche ha cancellato decenni di tentativi di applicazione concreta dei prìncipi del diritto di guerra e internazionale. Prima in Afghanistan, poi in Iraq, in Siria e in molte di quelle entità che hanno vissuto Primavere arabe, autunni di piombo e Inverni della speranza.
Ma è negli ultimi anni che le bordate più potenti al diritto internazionale sono state assestate, mettendo a nudo l’impotenza di istituzioni come le Nazioni Unite di applicare quel principio o imporlo. Un organismo che “invoca” e non applica per definizione è vuoto, impotente. Per questo, nelle ultime due guerre in particolare, si sta progressivamente assistendo allo smantellamento degli strumenti nati come le ultime evoluzioni asimmetriche dei conflitti: la Corte penale internazionale e le convenzioni sorte da istanze dal basso, popolari e di movimento, come quella contro le mine antiuomo dalla quale, in queste ore, si sta tirando fuori l’Ucraina di Volodymyr Zelensky. La Convenzione internazionale per la proibizione dell'uso, stoccaggio, produzione, vendita di mine antiuomo (meglio conosciuta come Trattato di Ottawa dove il 3 dicembre del 1997 venne firmata). Ma ancor oggi è stata ratificata solo da 40 Paesi rispetto al numero triplo dei propositori. E pian piano si sta sgretolando, mentre anche le democrazie nordiche dimenticano volontariamente il passato e riprendono la produzione di ordigni nel nome di una minaccia che si chiama Russia di Vladimir Putin che preme ai confini e minaccia. Gli ordigni sono sempre più sofisticati, micidiali nella loro semplicità di innesco e complessità di rintracciamento con i convenzionali metal detector.
Altra vittima illustre della guerra asimmetrica è la Corte Penale internazionale, già nota come Corte di Roma dove è stata proclamata 23 anni fa giusto domani. Ha strumenti spuntati, debolezze intrinseche come quella di doversi appoggiare sugli Stati membri per ottenere le forze di polizia necessarie all’applicazione dei suoi strumenti. E’ indifesa davanti al diniego degli Stati “forti” di applicare mandati di cattura: chi sarebbe in grado di arrestare Vladimir Putin in una delle nazioni in cui è ricercato? O Benjamin Netanyahu, quando la stessa Germania del cancelliere Merz (con il precedente storico illustre di una dittatura razzista e genocida) si è già chiamata fuori da qualsiasi applicazione? Nella guerra asimmetrica le regole di ingaggio sono vaghe, senza precedenti: reciprocità, diritto di ritorsione o rispetto dei prigionieri di guerra sono parole vuote. Non si chiamano nemmeno guerre, ma Operazioni speciali, gli eserciti non si chiamano eserciti ma Forze di difesa. Difesa portata all’estremo, oltre i confini. Così nell’epoca delle guerre mordi e fuggi e non denominate come tali, la tragica ironia diventa d’obbligo davanti a un’Operazione speciale Ucraina che dura da 1.222 giorni e l’operazione per la liberazione degli ostaggi a Gaza da 632. Per questo oltre la pietà, la verità e la giustizia anche la reciprocità resta tra le vittime dell’asimmetria.