giovedì 23 gennaio 2025
Mai come adesso, di fronte alle sfide lanciate dall'amministrazione Trump, a Bruxelles serve una reazione corale immediata. È necessario trovare chi dica: o si fa l'Europa o si muore
Cambiare o morire? L'Europa cerca un Garibaldi
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L’Europa, che molti vedono a un bivio nell’era di Trump – cambiare o morire – può scegliere di scommettere sulla forza del proprio modello, che non verrà scosso alle fondamenta da satelliti o dazi. Il panico non è mai un buon consigliere, e sbracciarsi individualmente per ottenere qualcosa dalla nuova Amministrazione americana non farà che destabilizzare ulteriormente l’equilibrio. Questo non significa restare inerti o limitarsi a osservare il vortice di eventi che si susseguono. Trump esce dagli accordi sul clima? Allora l’Europa prenda con determinazione la guida delle politiche ambientali a livello globale, invece di perdersi in dispute su un anno in più o in meno per l’addio ai motori termici. La sfida ambientale è cruciale e siamo dalla parte giusta della storia. Se il nuovo presidente sospende gli aiuti internazionali, si disimpegna dalle crisi umanitarie e lascia l’Organizzazione Mondiale della Sanità, l’Europa deve reagire aumentando il proprio contributo e tornando a essere un interlocutore credibile e privilegiato per il Sud globale. Un impegno che non è solo etico, ma anche strategico: aprirebbe nuovi mercati e opportunità economiche. Quando però Trump ritira truppe dal Vecchio Continente, l’Unione Europea deve accelerare sulla creazione di un esercito comune e dimostrarsi pronta a investire maggiormente nella difesa. Sogni irrealizzabili? No, è il momento di renderli realtà. Ieri la presidente della Commissione, Ursula von der Leyen, ha parlato di una «nuova era di dura competizione geostrategica, con potenze di dimensioni continentali che si confrontano sulla base dei loro interessi». Ma questa corsa è iniziata da tempo, e l’Unione Europea si è già mostrata impreparata su alcune sfide decisive. La Bussola sulla competitività, che sarà presentata la prossima settimana, dovrà tradurre il Rapporto Draghi in azioni concrete. Certo, serve più innovazione, ma soprattutto maggiore coordinamento e condivisione di obiettivi. La vera minaccia dell’America trumpiana non sta tuttavia nelle tariffe commerciali, quanto nella strategia di divisione che arriva da Washington: “divide et impera” rimane una delle tattiche più efficaci fin dall’antica Roma. I primi giorni della nuova Amministrazione Usa mostrano con evidenza l’asimmetria tra le due sponde dell’Atlantico. In poche ore, il presidente americano firma centinaia di ordini esecutivi, cambiando il volto del Paese e, indirettamente, del mondo intero. L’Unione Europea, invece, impiega spesso anni per prendere decisioni di compromesso. I contesti istituzionali sono ovviamente diversi, ma questo ci riporta alla necessità più urgente: una riforma dell’architettura politica della Ue. Solo diventando un’entità più coesa, senza sacrificare le nostre specificità ma rafforzando la nostra unità, potremo essere un attore efficace nel panorama globale, al pari delle altre grandi potenze. Il fatto che un singolo Paese europeo si offra di mediare con Trump e i suoi alleati ultramiliardari, mentre gli altri leader dell’Ue non sono stati nemmeno invitati alla cerimonia di insediamento, è il simbolo della nostra fragilità: c’è chi guarda a Trump e chi lo aborre, in assenza di una visione e di una strategia unitaria. Gli Stati Uniti resteranno un alleato, ma possono anche trasformarsi in un rivale su alcuni fronti, in nome del principio “America First”. Per questo, a Bruxelles servirebbe davvero un Garibaldi, qualcuno con il coraggio di dire: o si fa l’Europa sul serio, o si muore. Perché l’alternativa è il “ciascuno per sé“. Una tentazione per alcuni, ma un disastro per tutti.

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