sabato 5 novembre 2022
Le comunità indigene di Cuninico e Urarinas richiamano così l’attenzione del governo e del mondo sulla propria agonia a causa dello sversamento di petrolio, a settembre, per la rottura di un oleodotto
Le prime operazioni di bonifica in Perù

Le prime operazioni di bonifica in Perù - Mongabay.com

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Sequestro di persona a scopo di… sopravvivenza. Non è tipificato dal codice penale ma, se lo fosse, costituirebbe più di un’attenuante. Perché per le comunità indigene dei distretti di Cuninico e Urarinas, sulla riva sinistra del fiume Marañón, nell’area amazzonica del Perù, sequestrare turisti è il solo modo di richiamare l’attenzione del governo e del mondo sulla propria agonia.

A monte, lo sversamento di petrolio, il 16 settembre, provocato dalla rottura dell’oleodotto di Petroperù nella gola di Cuninico, alla foce del Marañón nella regione di Loreto.

Era stato il presidente della Federazione dei Pueblos Cocamas Unidos del Marañón, Galo Vásquez, a lanciare per primo l’allarme: «Tutte le comunità che sono nella parte inferiore del fiume sono colpite, l’inquinamento è tremendo».

Un disastro ambientale dall’impatto tragico sul fragile ecosistema amazzonico, dove la vita delle popolazioni – dall’acqua per bere alla pesca per alimentarsi – dipende dal fiume. Petroperú ha attribuito lo sversamento a un «taglio intenzionale di 21 centimetri nella tubatura».

Gli abitanti denunciano, invece, la scarsa manutenzione degli impianti che, da mezzo secolo, causerebbe continue perdite. Il governo, da parte sua, ha dichiarato l’emergenza ambientale «per l’alto rischio per la salute pubblica» ma la situazione è peggiorata, causando la morte di una donna e due bambini.

Nel frattempo, nelle quattro settimane successive, ci sono state altre tre fuoriuscite di greggio nella zona.

Di fronte all’inerzia delle autorità, già a fine settembre sulla rotta fluviale Iquitos-Yuimaguas membri della comunità di Cuninico avevano trattenuto imbarcazioni e passeggeri.

E oggi sono almeno 150 i turisti nazionali e di molti altri Paesi – fra cui Spagna, Francia, Usa, Regno Unito, Svizzera e Venezuela – ostaggi dei “comuneros”.

Per il rilascio, gli indigeni chiedono l’invio di funzionari al governo di Lima per fronteggiare l’emergenza. «Stiamo bene fisicamente», ha scritto Ángela Ramírez, uno degli ostaggi, su Facebook. «Quanto prima saranno ascoltati, prima ci lasceranno andare. Aiutatemi ad aiutarli a essere ascoltati».

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