
Donald Trump di ritorno alla Casa Bianca, dopo la visita nei Paesi arabi - Reuters
«Putin è stanco e tratterà, non sta facendo una bella figura. Del resto ho sempre pensato che non si possa giungere a un accordo senza di me. Lunedì mattina alle 10 parlerò io al telefono con Vladimir Putin e chiederò un cessate il fuoco immediato per fermare quel bagno di sangue che sta uccidendo cinquemila soldati ogni settimana. Sarà una giornata produttiva, ci sarà un cessate il fuoco e questa guerra molto violenta, una guerra che non avrebbe mai dovuto iniziare, terminerà. Poi parlerò anche con Zelensky e vari membri della Nato». Così a sorpresa Donald Trump, all’indomani del vertice di Istanbul. E, a seguire, subito si sono mosse le seconde linee. Ovvero il segretario di Stato americano Marco Rubio e il suo omologo russo Sergeij Lavrov.
Rubio, che ha accolto con favore l'accordo sullo scambio di prigionieri raggiunto durante i colloqui Ucraina-Russia, ha trasmesso il forte messaggio del presidente Trump: «Gli Stati Uniti sono impegnati a porre fine in modo duraturo alla guerra tra Russia e Ucraina. Il piano di pace globale proposto dagli Stati Uniti delinea la strada migliore da seguire.
Il ministro ha sottolineato l'appello del presidente Trump per un cessate il fuoco immediato e la fine delle violenze». Buoni propositi. Uno scambio di mille prigionieri per parte è meglio di niente. Ma finisce lì: sul piano diplomatico, un pugno di mosche. La grande recita allestita da Recep Tayyp Erdogan che avrebbe dovuto dare avvio alla road map verso la pace è svaporata nel giro di un paio d’ore. Qualcuno dice che ciò era scontato.
Un po’ è vero: Putin, che si è avvalso della felpata abilità del capo-delegazione Vladimir Medinskij (lo stesso che guidò gli abortiti negoziati di pace del 2022 in Bielorussia), non cede di un millimetro. Vuole tutto: Crimea, Donbass, Zaporizhzhia, Kherson, lo status di neutralità per l'Ucraina, la rinuncia alle riparazioni di guerra, niente Nato alle porte, niente Ue, niente “boots on the ground” europei sui lunghi confini che separano la Santa Madre Russia da quell’immenso granaio chiamato Ucraina (da cui peraltro la Russia originaria è nata).
Un Paese un tempo irto di missili balistici intercontinentali, che all’impero degli zar ha dato poeti, scrittori, dinamitardi, pensatori e rivoluzionari, ma che per il Cremlino continua ad essere nient’altro che una riottosa provincia.
Tutto da rifare? Praticamente sì. Anche perché al vertice di Istanbul mancavano le teste di serie: non c’era Putin, non c’era Zelensky, non c’era nemmeno Donald Trump. Ma se Trump è sicuro dell’effetto-ciuffo dorato, più prudente è la risposta di Mosca: «La Russia – ha anticipato il portavoce del Cremlino, Dmitrij Peskov – presenterà all'Ucraina un elenco di precondizioni per il cessate il fuoco. Le parti hanno concordato di scambiarsi liste con le condizioni per la tregua. Sarebbe ora prematuro rivelare dettagli dei colloqui, dal momento che sono in corso e si svolgono a porte chiuse». Perfetto stile sovietico, quello di Peskov, adeguatamente ritagliato sugli umori del signore del Cremlino e del suo ascoltato consigliere Nikolaij Patrušev, come Putin, un ex ufficiale del Kgb.
E Zelensky? «Senza sanzioni più severe – ha detto esortando gli alleati – senza una pressione più forte sulla Russia, Putin e i suoi non cercheranno una vera via diplomatica». Allo stato delle cose il faccia a faccia con Putin appare assai remoto. Nel frattempo a Tirana il “volonteroso” Macron (ovvero l’imbattuto accumulatore seriale di gaffes diplomatiche degli ultimi dieci anni) dichiarava: «Sono sicuro, che il presidente Trump saprà reagire di fronte al cinismo di Putin». (Sanzioni, come quelle europee che Zelensky ha ricordato anche ieri).
Ma più che un vaticinio sembra un supplica rivolta all’unico fra i giocatori di questo war game che Putin realmente considera (e un po’ teme), non foss’altro perché i due si somigliano. Sì, ma il sospirato face to face fra Putin e Trump, quello che dovrebbe metter fine a ogni schermaglia? «Se un colloquio si prospetterà come utile, ve lo faremo sapere». Parola del Cremlino. E con ciò avete capito chi sta ancora guidando la danza.