giovedì 19 giugno 2025
L'ex ambasciatore in Israele, Francesco Talò: «Potrebbe innescarsi una reazione a catena positiva, ma Israele non dovrà eludere la questione palestinese»
Francesco Maria Talò

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A spaventare l’Occidente, dopo l’attacco di Israele all’Iran, sembra essere anche l’ipotesi del blocco dello Stretto di Hormuz, dal quale transita il petrolio. Le conseguenze sarebbero gravi, «ma meno di quando dipendevamo di più dai combustibili fossili», riflette l’ambasciatore Francesco Maria Talò, inviato speciale italiano per il Corridoio India-Medio Oriente-Europa (Imec). «Si pone il tema della ridondanza delle infrastrutture di trasporto: più ne creiamo, più ci liberiamo da queste strozzature».

Da ex ambasciatore in Israele, come vede l’evolversi della situazione in Medio Oriente? Il piano di Netanyahu di ridisegnare la regione rischia di alimentare l’instabilità?

Non sempre i cambiamenti sono negativi. Gli avvenimenti in corso mi preoccupano, ma non escluderei esiti auspicabili. Ho trovato interessanti, e sorprendenti per franchezza, le parole del cancelliere tedesco Friedrich Merz, secondo il quale Israele «sta facendo per noi il lavoro sporco». Si riferiva al tentativo di rovesciare il regime di Teheran. Le novità possibili sono due: una Repubblica islamica potenza nucleare o un Iran diverso da quello attuale. La terza via, quella di un Iran non nucleare (ma quasi) così come lo conosciamo, rischia di essere una situazione molto incerta in cui Teheran potrebbe essere disposto a compromessi ma potrebbe anche accelerare sul nucleare. L’ex primo ministro israeliano Barack parlava di rinvio che non risolve. Ho l’impressione che siamo alla resa dei conti. Il grosso punto interrogativo è se Israele riuscirà a rovesciare il regime.

Russia e Cina staranno a guardare?

Putin è preoccupato, più degli altri. Nel breve periodo, incasserebbe il vantaggio dell’aumento del prezzo del petrolio. Sul lungo, perderebbe un alleato. Gli è già successo in Siria. L’Iran sostiene i russi militarmente in Ucraina. Anche per questo Putin si è proposto come mediatore. Quanto alla Cina, è per sua natura molto prudente. Ma sono noti i suoi legami con Teheran, che oltretutto è un importante fornitore energetico per Pechino. Un cambio di regime a Teheran sarebbe un grave smacco per la Cina e soprattutto per la Russia.

Come immagina un ipotetico “dopo ayatollah”?

L’Iran non è la Libia, ha un alto potenziale in termini di risorse umane oltre che materiali. Ha una società civile avanzata. Non sappiamo cosa succederebbe, ma non escludo un’evoluzione positiva. L’alternativa è un Iran nucleare, minaccia esistenziale per Israele e innesco di una corsa agli armamenti nucleari in tutta la regione. Una “santuarizzazione” nucleare dell’Iran lo renderebbe un regime inattaccabile al pari della Corea del Nord.

Il ridisegno israeliano del Medio Oriente punta a indebolire tutti gli attori per ritagliarsi un ruolo da potenza regionale incontrastata?

Un nuovo Iran potrebbe essere un’altra potenza. Anche i Paesi del Golfo stanno crescendo, a cominciare dall’Arabia Saudita. Non ci sarebbe solo Israele. Poi c’è la guerra a Gaza.

Come s’inserisce?

Netanyahu non ha offerto prospettive chiare sulla questione palestinese, che va avanti da oltre 75 anni. Bisogna affrontarla con serietà, riconoscendo i diritti del popolo palestinese. Per i sauditi è fondamentale che Israele compia un passo in questa direzione. E con l’attuale leadership questo è un punto di debolezza. Se la comunità internazionale desse a Israele garanzie sull’eliminazione del ruolo di Hamas, magari attraverso la presenza concordata (e miscelata con cura) di forze militari arabe e occidentali coordinata con l’Onu, si potrebbe vedere una via d’uscita. La Lega Araba ha preparato un importante programma di ricostruzione, Egitto e Giordania dovrebbero svolgere un ruolo di peso.

Uno scenario che l’attuale governo israeliano non sembra prendere in considerazione…

Da entrambe le parti, israeliana e palestinese, c’è chi in sostanza chiede “dal fiume al mare”. Il presupposto di ogni scenario di convivenza è invece il riconoscimento dell’altro.

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