
Il generale Boris Gromov sul Ponte dell'Amicizia mentre lascia l'Afghanistan il 15 febbraio 1989 - Web
La storia certo si ripete, ma anche si vendica. L'ultimo generale russo a lasciare l'Afghanistan fu Boris Gromov, che attraversò il Ponte dell'Amicizia il 15 febbraio 1989. Fu la fine dell'intervento sovietico nel Paese. Ieri, invece, Mosca ha accettato le credenziali dell’ambasciatore dei taleban, diventando il primo Paese al mondo a riconoscere pienamente il regime oscurantista di quelli che un tempo chiamavano gli “studenti di teologia”. Ora sono un governo riconosciuto da uno dei tre nuovi padrini del mondo, passando senza soluzione di continuità dalla fuga precipitosa degli americani nel Ferragosto di quattro anni fa all’abbraccio di Vladimir Putin che quel ritiro di 36 anni fa non l’aveva mai digerito mentre scalava la gerarchia del Kgb prima di realizzare che la nuova politica russa era più redditizia di quella dei servizi segreti della vecchia Urss. "Riteniamo che l'atto di riconoscimento ufficiale del governo dell'Emirato Islamico dell'Afghanistan darà impulso allo sviluppo di una cooperazione bilaterale produttiva tra i nostri Paesi in diversi settori", ha dichiarato il ministero degli Esteri di Sergeij Lavrov in una nota. Di rimando, il ministro degli Esteri afghano Amir Khan Muttaqi ha definito "una decisione coraggiosa" il riconoscimento. "Questa decisione coraggiosa sarà un esempio per gli altri. Ora che il processo di riconoscimento è iniziato, la Russia è avanti a tutti", ha dichiarato Muttaqi in un video diffuso su X durante un incontro con l'ambasciatore russo a Kabul, Dmitrij Zhirnov.
Per la verità il primo passo l’aveva mosso, tra mille critiche, l’Onu. Che aveva legittimato (di fatto) il regime invitandolo ai colloqui di Doha del giugno 2024 sul futuro del Paese. Giocando poi il “carico” ammettendo la presenza di rappresentanti del regime alla Cop29 sul clima a Baku in Azerbaigian. Nel frattempo le donne sono rimaste dov’erano anche prima della cacciata dall’Afghanistan dei taleban nel 2001. Avvenuta dopo un'invasione guidata dagli Stati Uniti e dal Regno Unito, iniziata il 7 ottobre, in risposta agli attentati dell'11 settembre. Le forze internazionali, insieme all'Alleanza del Nord, avevano rapidamente preso il controllo di gran parte del Paese, inclusa Kabul, costringendo i miliziani a ritirarsi. Il resto è storia che è rimasta impressa negli occhi del mondo: i bambini gettati oltre il reticolato all’aeroporto di Kabul per farli salire sugli ultimi voli degli occidentali in fuga o le esecuzioni sommarie di chi era stato abbandonato alle vendette dai “pacificatori” a stelle e strisce dopo averli “usati” come informatori o traduttori. Il tutto fatto dopo i colloqui segreti in Qatar voluti dal primo Donald Trump senza consultare il governo della Repubblica afghana sostenuto dagli stessi americani. Il paradosso è che a far compiere materialmente ai marine quella precipitosa fuga, mentre i taleban entravano senza resistenze a Kabul, fu Joe Biden. Che si vide rinfacciare dal tycoon anche in campagna elettorale la vergognosa ritirata. La storia si ripete, si vendica ma anche si dimentica.