giovedì 12 novembre 2009
Su otto milioni di minorenni, 6,5 milioni sono costretti a rinunciare alle lezioni, sia per la violenza dei taleban, sia per la carenza di insegnanti e infrastrutture.
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Bibi Hanifatah è stata rapita mentre accompagnava la fi­glia a scuola. Ahmad lo han­no mutilato davanti ai suoi studenti. A Shamsia non è andata meglio: un gruppo di motociclisti col turbante gli ha deturpato il volto versandogli dell’acido in presenza delle sue com­pagne di liceo. Contro l’istruzione, i taleban non hanno mai abbassato le armi. Accade in un Paese dove su 8,4 milioni di bambini (un terzo dei 28 milioni di abitanti) più di un milione lavora già in tenera età e solo una mi­noranza frequenta le poche e disa­dorne aule scolastiche. La denuncia è contenuta nel rappor­to sull’Accesso all’istruzione in Afga­nistan redatto dall’Aihrc, la Commis­sione indipendente per i diritti uma­ni con base a Kabul. Un campionario di orrori e denunce che sta mettendo in allarme i responsabili della 'rico­struzione'. Su oltre 8milioni di mi­norenni «ci sono circa 6,5 milioni di bambini costretti a rinunciare all’e­ducazione scolastica», ha recente­mente ammesso il viceministro agli Affari Sociali, Wasel Nur Momand. Scuole femminili incendiate, ragazze e famiglie minacciate, studentesse sfregiate. I taleban non si fermano. E il sequestro delle mamme è l’ultima arma, come ha denunciato Asfi Nang, portavoce del ministero della Pubbli­ca Istruzione. Attualmente 457 scuo­le in sei province sono state chiuse a causa delle minacce degli estremisti, «impedendo a 200mila studenti, ra­gazze e ragazzi – spiega Nang –, di ot­tenere una adeguata educazione». Gli unici istituti 'ammessi' dai radicali i­slamici sono le madrasse, le scuole coraniche vivaio di fondamentalisti. Secondo l’Aihrc, sono anche altre le ragioni che impediscono di affronta­re un percorso di studi. A cominciare da questioni pratiche. «Il 10,4% dei ragazzi intervistati – si legge nel rap­porto ottenuto da Avvenire – ha di­chiarato di non essere in grado di con­tinuare a recarsi a scuola a causa del­la distanza». Il 45% dei bambini im­piega nel tragitto casa scuola almeno un’ora al giorno. Secondo la Com­missione per i diritti umani, circa il 60 per cento delle scuole si trovano, in media, ad almeno tre chilometri dalle abitazioni degli studenti, il 27% addirittura oltre i 4 chilometri. È dav­vero difficile immaginare che un ge­nitore consenta ad un bimbo di 6 an­ni di percorre a piedi o in bicicletta otto chilometri al giorno con il rischio di finire nel mezzo di una battaglia o nel mirino dei fanatici. Famiglie decimate, orfani, centinaia di migliaia di mutilatini vittime dei campi minati. Decenni di conflitti la­sciano in eredità uno scenario socia­le disastrato. Non a caso «l’8,7% del­le ragazze e il 18,7% dei ragazzi ha di­chiarato di aver lasciato la scuola per­ché non hanno genitori o altri paren­ti che possono prendersi cura di loro». Le imboscate dei taleban e le caren­ze infrastrutturali sono soltanto alcu­ni degli ostacoli. L’arretratezza cultu­rale degli adulti è l’altra faccia della violenza fondamentalista. «Di tutte le ragazze intervistate – spiegano dal­l’Airhc –, il 25,7% di quante hanno la­sciato gli studi ha detto che le loro fa­miglie vietano loro di continuare a frequentare le lezioni, perciò devono rinunciare ad avere un’istruzione». Colpa anche dell’arcaica tradizione dei matrimoni combinati, con le bambine concesse in sposa quando invece dovrebbero ancora occuparsi di bambole e abbecedario. «Se non le troviamo un marito adesso – hanno spiegato molti padri agli operatori di Aihrc –, quando saranno più grandi non troveranno un uomo disposto a pagare una capra per sposarsela». La povertà è l’altro grande alleato degli estremisti. Il 44% dei ragazzi contat­tati ha dichiarato di non disporre di tutti libri necessari e il 6% non pos­siede alcun testo scolastico. Le con­dizioni degli istituti sono poi di estre­ma precarietà. Solo il 55% degli stu­denti trova ad attenderlo un banco e una sedia, il 40% deve accontentarsi di incrociare le gambe su tappeti e cir­ca il 5% siede sulla nuda terra. Del re­sto un quarto dei ragazzi frequenta scuole ospitate in tende (13,2%), al­l’aperto (5,6%) oppure sotto un albe­ro (5,7%). Tra i fortunati che possono dire di frequentare una scuola fatta di mattoni, il 26% deve fare a meno di servizi igienici, utilizzando latrine al­l’aperto. Negli anni in cui i taleban sono stati al potere (1996-2001) le scuole fem­minili erano state bandite. L’imposi­zione del burqa non è stato che il sim­bolo più visibile di una sopraffazione più antica. Il risultato è che oggi le do­centi sono meno di 40mila su 142mi­la insegnanti. La grande maggioran­za delle maestre lavora nelle aree ur­bane, per questa ragione il 14,7% del­le ex studentesse dicono di essere sta­te costrette dai parenti a lasciare la scuola «perché non c’erano inse­gnanti donne». Per chi resiste il rischio è altissimo. La settimana scorsa due maestre pachistane di Khar, nell’area tribale al confine tra Pakistan e Af­ghanistan, sono state massacrate al termine delle lezioni. I guerriglieri le hanno attese fuori della scuola cri­vellando di colpi il risciò a motore sul quale stavano tornando a casa. Il New York Times , commentando le cattive notizie che arrivano dal fron­te afghano, ha coniato uno slogan: «Più scuole, meno truppe». Con quel­lo che costeranno i 40mila militari U­sa di rinforzo a Kabul «potremmo al­fabetizzare 75 milioni di bambini in tutto il mondo», ha scritto il premio Pulitzer Nicholas D. Kristof. Da so­la l’organizzazione non governa­tiva Care gestisce 295 scuole con 50mila bambine, «e neanche u­na è stata chiusa dai taleban». Solo così si «può contribuire a sviluppare un circolo virtuo­so che promuove la stabi­lità e la moderazione», sostiene Kristof . Come dire: oltre che a invia­re altri 40mila uomini, «perché non aprire e proteggere 40mila scuole?».
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