sabato 17 giugno 2017
E' l’uomo che ha forzato il destino, diventando il cancelliere della riunificazione tedesca ma anche il paladino dell’Europa unita e il fautore della moneta unica
Helmut Kohl insieme a Angela Merkel, il 16 dicembre 1991, a Dresda: Merkel era stata appena eletta vice

Helmut Kohl insieme a Angela Merkel, il 16 dicembre 1991, a Dresda: Merkel era stata appena eletta vice

COMMENTA E CONDIVIDI

E' l’uomo che ha forzato il destino, diventando il cancelliere della riunificazione tedesca ma anche il paladino dell’Europa unita e il fautore della moneta unica. Helmut Kohl ha cambiato la geografia politica del vecchio Continente, un fatto che tutti gli riconoscono e alcuni gli rimproverano, come se fosse lui all’origine dei nostri guai. Non si devono però confondere le responsabilità dei leader attuali con le scelte compiute da Kohl, lo statista europeo di maggior spicco dalla fine della Seconda Guerra mondiale. Anch’egli, come tutti i politici di allora, non aveva previsto la caduta del Muro e gli sconvolgimenti dell’89. Ma fu l’unico che seppe salire con prontezza sul treno della storia prendendone la guida. Fino a quel momento Helmut Kohl non godeva di grande considerazione. Goffo, impacciato, mediocre, erano questi gli aggettivi più benevoli nei confronti di colui che divenne cancelliere della Repubblica federale tedesca nell’ottobre del 1982 per un’improvvisa e inusuale crisi del governo guidato dal socialdemocratico Helmut Schmidt. Il “gigante nero”, definito così per sua la massiccia figura e per il colore scuro dei capelli, era un tipo bonario e gioviale, amante della buona cucina. Pacato e moderato in politica ma senza carisma, apparve allora come un tranquillo uomo d’apparato giunto al vertice del potere più per i fortuiti casi della vita che per meriti propri.

Nato nel 1930 a Ludwigshafen, nella Renania cattolica, era un bambino all’epoca del nazismo. “Die Gnade der Spatgeburt”, la grazia dell’essere nato tardi, l’ha definita parlando si sé e della sua generazione, libera da ogni senso di colpa per i crimini del regime hitleriano. Ma da ragazzo ha conosciuto l’orrore della guerra ed è a questa terribile esperienza che si rifarà più volte Kohl per sottolineare la necessità di costruire un’Europa unita. Cattolico, democristiano della prima ora e allievo del conterraneo Adenuaer, a 23 anni è dirigente regionale, a 29 anni deputato, e di gradino in gradino sale fino ad occupare la carica di presidente della Cdu, dimostrando grandi doti organizzative e raddoppiando gli iscritti al partito.

Quando, a 52 anni, diventa cancelliere, tutti pensano che quel personaggio grosso e provinciale il cui nome è già un invito al sarcasmo (Kohl vuol dire cavolo in tedesco) sarà una soluzione di passaggio. Rimarrà al potere sedici anni, secondo solo a Bismarck per longevità politica. Ha idee semplici e chiare che risulteranno vincenti. Prima di tutto la netta scelta di campo occidentale contro l’ambiguo neutralismo della sinistra. Quindi il rilancio del’asse franco-tedesco per chiudere un passato di conflitti (l’immagine di Kohl e Mitterrand mano nella mano a Verdun, per commemorare i caduti della Grande Guerra, resterà nei libri di storia). Infine l’aspirazione all’unità tedesca contro ogni tendenza a interpretare l’Ostpolitik inaugurata da Willy Brandt come un cedimento alla divisione in due della Germania.

Ma certo non s’aspettava il crollo del Muro. Lech Walesa racconta che, subito dopo l’ascesa di Solidarnosc al potere nell’agosto del 1989, ebbe un colloquio con Helmut Kohl. «Non illudiamoci, sarà alta l’erba sulle nostre tombe quando cadrà il Muro di Berlino», gli disse il cancelliere. Me lo ricordo la sera del 10 novembre 1989, il giorno dopo l’evento che mise fine alla Guerra fredda, sulla piazza del Rathaus di Berlino ovest, davanti ad una sterminata folla in festa. Era rientrato di corsa da Varsavia, dove si trovava in visita ufficiale, ma i berlinesi gli riservarono solo una bordata di fischi. Kohl non se l’ebbe a male, anzi fu proprio in quel momento che si rese conto della grande occasione che gli si parava davanti. Di lì a pochi giorni presenta un piano in dieci punti per riunificazione della due Germanie. I suoi consiglieri suggeriscono prudenza, ma Kohl preferisce dar retta al suo straordinario istinto politico. La svolta avviene il 19 dicembre dell’89 quando, per la prima volta, un cancelliere dell’Ovest si reca in Germania Est.

A Dresda migliaia di tedeschi orientali lo acclamano e lo invitano a far presto. Il cancelliere alza i pugni al cielo come un lottatore sul ring e proclama: «Non vi lasceremo soli! Dio benedica la nostra comune patria tedesca!». Einheit, Einheit, unità, unità, scandisce la folla. Da quel giorno il placido Kohl diventa un fiume in piena che nessuno riuscirà più a fermare. L’idea di una Germania unita suscita apprensioni e ostilità da Mosca a Washington, riappaiono i vecchi fantasmi dell’egemonia tedesca sull’Europa. Il presidente francese Mitterrand (che Kohl nelle sue Memorie accuserà di «doppiezza ») blandisce e frena, ma l’attacco più duro arriva da Thatcher. Al vertice straordinario dei capi di Stato e di governo della Cee che si svolge a Parigi dieci giorni dopo la caduta del Muro, Kohl inl’ex contra la resistenza della Lady di ferro che s’arrabbia e urla: «Nessuna riunificazione, sarebbe la fine degli equilibri internazionali!».

Ma il cancelliere aggira l’ostacolo puntando su un accordo con Mosca. Kohl e Gorbaciov si stimano e nutrono una fiducia reciproca. Si trovano una sera a Bonn, seduti su un muretto lungo il Reno come due vecchi amici. Fissano il fiume che scorre. «Possiamo costruire una barriera ma troverà un altro percorso per raggiungere il mare. È il simbolo della Storia », osserva il cancelliere. Il leader della Perestrojka annuisce. Nel marzo del 1990 i cittadini della Ddr possono finalmente andare ad elezioni libere e premiano il partito di De Maizière, legato alla Cdu occidentale. A luglio Kohl butta sul piatto 5 miliardi di marchi a favore della disastrata economia sovietica e strappa il sì di Gorbaciov alla riunificazione che il 3 ottobre dello stesso anno diventa realtà. Il Cancelliere «mediocre » è diventato il padre della nuova Germania, il Bismarck del Ventesimo secolo.

Dopo il trionfo viene il periodo più difficile. La ricostruzione della Ddr costa più del previsto, i tedeschi dell’Ovest mugugnano per l’introduzione della “tassa della solidarietà” mentre quelli dell’Est sono presi dall’Ostalgie, la nostalgia per un passato grigio ma senza scossoni. Ci vorranno parecchi anni per ridurre il divario tra Est ed Ovest del Paese ed alla fine la riunificazione si rivelerà un successo per tutti. Ma Kohl ha ormai perso l’aureola e nel 1998 perderà anche le elezioni. Il colpo più duro per l’ex cancelliere arriva nel 1999, con lo scandalo dei finanziamenti occulti alla Cdu. Kohl ammette d’aver ricevuto 2 milioni di marchi in nero per il partito ma si rifiuta di fare i nomi dei donatori. Travolto dalla bufera delle accuse è costretto a lasciare la presidenza onoraria della Cdu che gli volta le spalle.

E la prima a criticarlo aspramente è Angela Merkel, la sua “Maedchen”, come la chiamava affettuosamente Kohl, la ragazza del-l’Est che ha fatto carriera all’ombra del gigante renano fino a diventare leader del partito. La vicenda dei fondi neri si chiuderà nel febbraio 2001 con una maximulta che evita all’ex cancelliere l’onta del processo. Pochi mesi dopo la moglie Hannelore, sua fedele compagna per 41 anni, si toglie la vita, ridotta alla cecità da una malattia nervosa. Kohl s’incammina sul viale del tramonto, nel 2008 viene colpito da un ictus, accudito dalla seconda moglie, Maike Richter, già sua segretaria. Interviene raramente ma con giudizi taglienti: contro il socialdemocratico Schroeder per aver violato i criteri di Maastricht, «una vergogna per la Germania».

E poi ancora contro Merkel per il suo «scarso europeismo». L’ultima apparizione pubblica del cancelliere della riunificazione è stata nel 2012, quando la Germania ha voluto rendergli omaggio nel trentesimo anniversario della sua ascesa al potere. Un triste monumento sulla sedia a rotelle: sofferente e operato più volte, parlava a fatica. I tedeschi gli devono la ritrovata unità, noi tutti gli dobbiamo la nuova Europa, anche se Kohl, il “gigante” realista e lungimirante, la sognava un po’ diversa dall’attuale.

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: