mercoledì 23 marzo 2022
Considerata la più grande poetessa russa vivente, vede il conflitto come uno choc collettivo: «Putin combina i giorni più bui dell’Urss con slogan copiati dal Terzo Reich»
Olga Sedakova

Olga Sedakova - .

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È considerata la più grande poetessa russa vivente, l’erede della grande Anna Achmatova, con la quale condivide anche il grande amore per la lingua e la cultura italiana. Ma Olga Sedakova è qualcosa di più: è l’intima voce della nazione russa, la cantrice della sua anima più profonda. C’è una tensione verso la spiritualità che traspare nei suoi versi. Arrestata durante il periodo sovietico per le sue convinzioni religiose, molte sue opere furono divulgate sotto forma di Samizdat, le pubblicazioni clandestine che permettevano ai dissidenti politici di fare conoscere il proprio lavoro. Ad Avvenire, dalla sua casa di Mosca, ha raccontato come il popolo russo stia vivendo questo conflitto e perché la Russia di Putin somigli all’Unione Sovietica di Stalin.

Olga Sedakova, da fuori è molto difficile capire come la Russia stia vivendo questa guerra. Che idea si è fatta lei?
La guerra è stato uno choc assoluto per tutti. Sembrava che semplicemente non potesse più accadere. Per i primi tempi c’è stata ancora l’illusione che ci si potesse svegliare come da un brutto sogno. Ma dobbiamo partire da che cosa è successo prima che questa guerra iniziasse.

Ossia?
Quando è cominciata la guerra non dichiarata, perché in Russia si chiama «operazione militare speciale», nel Paese era stata completamente distrutta qualsiasi opposizione, quasi tutti i media liberi sono stati banditi, era stata coniata l’etichetta di «agente straniero» per chiunque dissentisse. Con la liquidazione di Memorial, il nostro centro di storia vivente dedicato al ricordo delle vittime della repressione sovietica, e l’incarcerazione della figura più popolare dell’opposizione, Alexeij Navalny, la scena pubblica è stata completamente "ripulita" da qualsiasi attività che non coincida con quella ufficiale. La propaganda militarista ha preso piede dall’annessione della Crimea nel 2014. Le celebrazioni annuali della vittoria di guerra del 1941-1945 (chiamata in Russia Grande Guerra Patriottica) si tenevano con slogan come «Possiamo farlo di nuovo!». In televisione non c’era altro che propaganda. Propaganda viziosa e totalmente falsa. Era talmente idiota e brutta che sembrava impossibile che una persona "normale" potesse semplicemente ascoltarla e prenderla sul serio. Ma ha fatto il suo lavoro. Ha formato "l’uomo della tv", che non può essere convinto di nient’altro. Questo "uomo della tv" costituisce ormai la maggioranza della popolazione. Così ora il divario tra questo tipo di persone e altre (che definirei sensibili) corre tra le generazioni, all’interno delle famiglie, all’interno delle comunità professionali. Una divisione di una forza incredibile. Nella "gente della tv" di oggi non c’è il pathos che l’annessione della Crimea causò nel 1914. Chiamerei la loro condizione difensiva: non vogliono conoscere il vero stato delle cose. La guerra per loro è giustificata da storie di propaganda sulle «atrocità» commesse dagli ucraini contro il popolo russo o russofono, sul «genocidio» in Ucraina. L’altra parte della popolazione ha espresso immediatamente il suo atteggiamento verso la guerra. Sono state raccolte centinaia di migliaia di firme: fra queste, probabilmente, ci sono i nomi di tutte le persone autorevoli e serie del Paese.

Quale clima si respira in Russia in questi giorni?
Il clima è depresso e teso. Un gran numero di persone cerca di vivere la propria vita come se non fosse successo nulla. Le persone con una chiara posizione contro la guerra si sentono come ostaggi: la forza militare dello Stato è diretta contro di loro. La repressività del regime è andata accumulandosi nel nostro Paese per molto tempo, ma ora sta diventando una vera e propria minaccia. Anche se qualcuno osa dichiarare apertamente la propria posizione, la gente non lo ascolta. Molte persone della mia cerchia stanno lasciando il Paese. Con varie motivazioni: la paura delle rappresaglie, la riluttanza a partecipare, il desiderio di salvare i bambini. Allo stesso tempo, uscire o fuggire diventa sempre più difficile. Spesso è una fuga verso una destinazione sconosciuta, senza averi, senza soldi, lungo percorsi difficili.

È ancora possibile informarsi in modo indipendente ora che anche Dozhd ed Echo Moskvi sono state chiuse?
La chiusura di tutti i media indipendenti è un grande colpo per la capacità di ottenere informazioni. Coloro che sanno usare i media elettronici trovano le proprie fonti. Ma sono in minoranza, credo. La ripubblicazione e la diffusione di tali informazioni è anche punibile penalmente. La maggioranza della popolazione riceve solo disinformazione ufficiale e, sorprendentemente, ci crede.

Come ha ricordato, in Russia ci sono anche migliaia di persone che sono scese in piazza, nonostante rischiassero di venire arrestate. Lei crede che questa guerra possa avere in qualche modo danneggiato il consenso attorno a Putin?
Se è così, non sarà presto. Forse quando l’impoverimento sarà evidente e non lo è ancora, oppure quando si conosceranno i numeri dei soldati russi uccisi in guerra (per ora su questo c’è il silenzio totale).

Cosa succederà adesso in Russia? Putin diventerà ancora più autoritario? Qualcuno ha detto che questa sembra l’Urss senza il comunismo. Si trova d’accordo?
Molto oggi assomiglia all’Urss dei suoi giorni stalinisti più repressivi. Come allora c’è la richiesta di un sostegno pieno e incondizionato a qualsiasi decisione delle autorità. Ma c’è anche qualcosa di nuovo. Gli slogan e lo stile sono spesso presi direttamente dal Terzo Reich. Il regime sovietico camuffava la sua brutalità. Oggi la brutalità della soppressione forzata di elementi esterni e locali è praticata apertamente e non nascosta. L’ideologia comunista non esiste più. Invece del marxismo-leninismo e «dell’ateismo militante» c’è ora una torbida miscela di cattivo misticismo storiosofico, l’idea di una "Grande battaglia" in cui i russi dovrebbero essere pronti a morire e a distruggere il mondo intero insieme a loro stessi, per porre fine al "Male del mondo". Un misto di vendetta, aggressione imperiale, odio verso "loro", ossia, nel linguaggio ufficiale l’Occidente collettivo. E non c’è niente davanti. Nessun "futuro luminoso", come sotto il comunismo, e nessun futuro in generale.

Lei è considerata la più grande poetessa russa vivente. La letteratura russa è una letteratura fatta di coraggio, di denuncia, spesso anche di dissidenza. Che ruolo stanno ricoprendo gli intellettuali in questo momento così drammatico per il loro Paese?
Penso che gli artisti e gli intellettuali russi, come è sempre successo nei momenti difficili, troveranno la forza e l’ispirazione (questo è molto importante, l’ispirazione: la parola non ispirata è impotente) per esprimere ciò che l’anima umana viva vede in quello che sta succedendo. E un’anima non può rimanere viva senza verità, senza libertà, senza compassione.

La Russia può avere un futuro aperto e democratico, magari vicino all’Europa?
Lo spero. Non vedo come possa avvenire una transizione verso "un’altra Russia". Una cosa è chiara: non può essere facile. Saranno tempi difficili e forse terribili. Ma se non credi in un tale risultato, non vuoi vivere. Ci sono troppe persone in Russia che meritano un’altra vita e sono pronte per essa.

Chi è. Avversata e poi premiata

Olga Sedakova è nata a Mosca nel 1949. Già dalla prima infanzia ha manifestato un interesse precoce per la poesia e le lingue straniere. Ad appena 20 anni il regime sovietico l’ha fatta rinchiudere in un ospedale psichiatrico. La sua colpa era lo scarso interesse e attivismo politico, ma soprattutto le sue prime poesie, che avevano preso a circolare e che furono considerate troppo intrise di senso religioso e spiritualità. I cinque mesi di permanenza nell’istituto e i tentativi di choc glicemico per fiaccarne la memoria non hanno avuto le conseguenze sperate né sulla sua testa né sulla sua fede. Una volta uscita dall’ospedale psichiatrico, Sedakova ha ripreso gli studi in Filologia, laureandosi a pieni voti all’Università Lomonosova di Mosca nel 1976. Le sue prime raccolte di poesie nel frattempo hanno iniziato a circolare con sempre maggiore frequenza, pubblicate clandestinamente in patria e tradotte in più lingue fuori dai confini nazionali, dall’inglese all’ebraico, dal serbo al cinese, passando per l’italiano. Dovrà aspettare fino al 1989 perché il suo Paese decida di diffondere la sua opera poetica e i suoi scritti di narrativa. Nel 1991 le viene anche assegnata una cattedra alla Facoltà di Filologia, Dipartimento di Storia e Teoria della cultura mondiale. Sedakova è anche un apprezzata traduttrice: è stato proprio l’amore per le letterature straniere a portarla ad approfondire gli altri idiomi. In 40 anni è stata insignita dei maggiori premi e riconoscimenti internazionali.

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