venerdì 14 maggio 2021
Solo alcune case hanno i «mamad», gli spazi anti-missile. E i genitori si devo attrezzare anche di fantasia: «Che succede? È una battaglia come Guerre Stellari»
Due donne israeliane con i figli cercano riparo in un negozio di Tel Aviv

Due donne israeliane con i figli cercano riparo in un negozio di Tel Aviv - Afp

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Prima era stata, di fatto, risparmiata: a differenza dei centri del sud, esposti costantemente agli attacchi di Hamas, Tel Aviv, fino a martedì, era stata attaccata da Gaza due volte, durante le operazioni militari del 2012 e del 2104. Quando nelle scorse settimane sono cominciati i primi scontri urbani a Gerusalemme, nessuno si aspettava che sarebbero degenerati al punto di raggiungere con i raid la Città Bianca. La chiamano così per il colore delle case in stile Bauhaus costruite tra gli anni ’30 e ’50 dagli architetti ebrei fuggiti dalla Germania nazista. La maggior parte di queste abitazioni non ha un rifugio anti-missili, che qui viene chiamato “mamad”, acronimo che indica uno “spazio sicuro nella casa” (in genere una delle stanze opportunamente predisposta). È diventato obbligatorio per legge nella costruzione dei nuovi edifici solo dopo la Guerra del Golfo, quando gli Scud di Saddam Hussein raggiunsero Tel Aviv dall’Iraq.
Quando alle 20.40 di martedì una pioggia di razzi ha cominciato a bersagliare il centro del Paese, un gruppo di famiglie i cui figli frequentano lo stesso asilo stava festeggiando il compleanno di Yael in uno dei tanti parchi giochi della città, fortunatamente attrezzato di “miklat”: questo il nome dei bunker sotterranei progettati nelle vicinanze delle aree gioco proprio per proteggere le persone in caso di allarme rosso.
Qui la piccola e i suoi compagni hanno trovato giocattoli, fogli e colori, lasciati dall’ultima operazione militare. «Cosa sta succedendo?», hanno chiesto confusi. «È in corso una di quelle battaglie come si vedono solo in Guerre Stellari», ha detto il padre di Yael cercando il tono che si usa per raccontare le favole, nel tentativo di rendere accettabile quel che non dovrebbe essere accettato, soprattutto da un bambino. Passata la prima raffica gli è toccato spiegare, però che bisognava tornare a casa in fretta, e prepararsi per la prossima. Ed è cominciata a quel punto una gara di solidarietà: chi ha il mamad in casa ha fatto spazio a chi non ce l’ha. E ci si è arrangiati. «Continuiamo la festa con un pigiama party», ha annunciato la madre di Yael, che si troverà in salotto un’altra famiglia. Negli appartamenti sicuri sono spuntati materassi gonfiabili, stuoie da yoga, tende da campeggio per ospitare chi, altrimenti, non avrebbe saputo come passare la notte in sicurezza. Una notte lunghissima.
Si è capito presto che la situazione stava andando fuori controllo anche sul fronte interno, soprattutto nei centri noti proprio per la convivenza tra religioni diverse. Come Acri, la città dei templari, conosciuta per le sue mura, le sale dei Cavalieri, e per Uri Buri, un ristorante storico che è un’istituzione in tutto il Paese: pesce procurato dai pescatori arabi e cucinato da Uri Jeremias, lo chef ebreo. Quando è arrivata la notizia che alcuni estremisti arabi avevano appena incendiato il locale, è stato come assistere alla distruzione di un simbolo della convivenza. E di notizie come quella ne sono poi arrivate altre, in una progressione feroce, da togliere il fiato e la speranza. Alle tre del mattino è ricominciata la pioggia di razzi. «Le guerre stellari non sono finite?», ha chiesto Yael. «L’importante è essere uniti sotto lo stesso tetto», le hanno risposto i genitori.

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