martedì 24 agosto 2021
Indigeni accampati alla Corte Suprema: domani si decide il futuro dell’Amazzonia. Una decisione dei giudici, contro il sistema creato dalla Carta costituzionale del 1988, scaccerebbe gli indios
Gli indios hanno percorso migliaia di chilometri per raggiungere Brasilia dove domani è attesa la storica sentenza

Gli indios hanno percorso migliaia di chilometri per raggiungere Brasilia dove domani è attesa la storica sentenza - Ansa

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Hanno percorso 4mila chilometri di sentieri d’acqua e di terriccio, in canoa, a piedi, in bus. Si sono lasciati alle spalle la foresta d’alberi per inoltrarsi in una selva di asfalto e grattacieli. Non edifici qualunque. Là, a Brasilia, cuore pulsante si trovano i palazzi del potere. E là, nello spiazzo di fronte alla Corte Suprema, si sono accampati, decisi a portare avanti la loro «Luta pela vida». Così – «lotta per la vita» – si chiama la mobilitazione che questa settimana coinvolge i popoli indigeni dell’Amazzonia brasiliana e le loro organizzazioni di base, riuniti nella rete Apib. Mai come ora la posta in gioco è alta.

Domani il massimo tribunale è chiamato a pronunciarsi sul ricorso presentato dalle autorità statali di Santa Catarina contro il popolo Xokleng. Ma la questione travalica i confini regionali: un esito sfavorevole ai nativi fa- rebbe crollare il sistema creato dalla Costituzione del 1988 che ha consentito agli indios di riottenere almeno una parte dei territorio espropriati durante la colonizzazione e, infine, dall’ultima dittatura militare. In oltre trentatrè anni, meno della metà dei quasi 1.300 appezzamenti rivendicati sono stati affidati in usufrutto permanente alle comunità origenarie, per un totale di 117 milioni di ettari di foresta, il 14 per cento della superficie nazionale. Gli indigeni non ne sono i proprietari – non possono pertanto venderla o affittarla –, bensì li gestiscono a beneficio loro e dell’umanità: uno studio dell’Onu, pubblicato quest’anno, ha confermato che le aree sotto il controllo dei nativi sono quasi tre volte meno disboscate delle altre.

Un fatto non da poco in un momento in cui la comunità internazionale è chiamata ad azioni urgenti contro il cambio climatico, al vertice di novembre a Glasgow. Ora, però, il futuro delle «terre indigene» in Brasile è incerto a causa di quello che è stato definito «il processo del secolo». La Corte deve decidere se gli Xokleng abbiano riottenuto parte del territorio in modo «abusivo», come sostengono le autorità ricorrenti, poiché non ne erano in possesso il 5 ottobre 1988, giorno dell’entrata in vigore della Costituzione. È la vecchia tesi del «limite temporale», sostentuna dalla lobby agraria, che pone come condizione della restituzione il possesso effettivo al momento del ritorno della democrazia.

Un evidente controsenso, afferma il movimento indigeno e il Consiglio indigenista missionario (Cimi) della Chiesa, perché ratificherebbe gli espropri subiti durante il regime. La parola definitiva la diranno gli alti togati la cui sentenza – è stato deciso – avrà ripercussione generale. A meno di un nuovo rinvio all’ultimo minuto, a causa delle tensioni tra la Corte e il presidente Jair Bolsonaro.

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