venerdì 5 febbraio 2021
Arrestato il consigliere 79enne di Suu Kyi, alla quale sono stati confermati i domiciliari. La resistenza passiva di insegnanti e medici
La protesta delle pentole a Yangon

La protesta delle pentole a Yangon - Ansa

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C'è voluto tempo – mezzo secolo di dittatura feroce e dieci anni di democrazia sotto tutela – per convincere i birmani che il muro contro muro non paga, ma nemmeno paga dare credito alla ragionevolezza di chi la democrazia bilancia sulla punta dei fucili e di conti bancari offshore.


Confermati la detenzione domiciliare per Aung San Suu Kyi nella capitale Naypyidaw, e il trasferimento in una località ignota del capo dello Stato, Win Myint, e della sua famiglia dal palazzo presidenziale dove erano segregati da lunedì, oggi a essere privato della libertà è stato il 79enne Win Htein, leader della Lega nazionale per la democrazia, fedelissimo della premio Nobel, Aung San Suu Kyi e per molti anni incarcerato sotto il regime militare. Il suo crimine? Avere osato dichiarare che il golpe militare non è stata «una mossa saggia».

Una manifestazione in supporto di Aung San Suu Kyi a Nuova Delhi

Una manifestazione in supporto di Aung San Suu Kyi a Nuova Delhi - Ansa

Privati dei principali riferimenti istituzionali, migrati da Facebook, bloccato d’imperio, a Twitter, anch’esso poi chiuso, i birmani hanno avviato una strategia che prende esempio dal “farsi acqua” delle proteste di Hong Kong (non esporre il fianco alla repressione sfuggendo ogni contatto con le forze di sicurezza) e dall’impegno non-violento che ha caratterizzato la lotta per la libertà dal 1990 indirizzata da Aung San Suu Kyi.

Palloncini rossi in segno di protesta per le strade di Yangon

Palloncini rossi in segno di protesta per le strade di Yangon - Reuters

In queste sere, alle 8, i balconi e i terrazzi hanno iniziato a popolarsi di ombre e di pentole, coperchi, plastiche sbattuti per ricordare ai generali che il passato è stato subìto ma non dimenticato, che una replica non sarà tollerata e che il mondo è all’unisono dalla loro parte, salvo Cina e Corea del Nord che alla democrazia preferiscono copioni in bianco. Per la scaramanzia e la numerologia birmane di cui i capi militari hanno da sempre fatto ampio uso per orientare nel modo più rispettoso della tradizione le retate di oppositori, la costruzione di bunker e rifugi e persino la pianificazione della capitale Naypyitaw, il frastuono associato al numero 8 favorisce la cacciata degli spiriti malvagi.

Donne con vestiti rossi in una veglia di protesta a Yangon

Donne con vestiti rossi in una veglia di protesta a Yangon - Reuters

Paese che vai, resistenza che trovi ma con l’uguale obiettivo di rendere la vita difficile alla dittatura – politica o economica – come visto (e sentito) nei cacerolazos in Argentina, Cile e Venezuela o i canti e slogan dai tetti di Teherann che aggiravano la proibizione (e i rischi) delle manifestazioni di piazza. Espressione di dissenso che si associa alla resistenza passiva di medici, infermieri e dipendenti pubblici che da martedì si presentano al lavoro mostrando la spilla con il nastro rosso della Lega nazionale per la democrazia, seguiti oggi dagli insegnanti.

Studenti e insegnanti manifestano facendo il segno con le tre dita alzate

Studenti e insegnanti manifestano facendo il segno con le tre dita alzate - Ansa

Il dramma birmano è nato nel 1962, macchiato dal sangue nelle università nel 1988, segnato dalla negazione del risultato elettorale democratico del 1990 e tornato ora al copione in mimetica dopo qualche incertezza democratica dell’ultimo decennio. Con i protagonisti che, toltisi nel 2011 le odiate divise per infilarsi in abiti civili di buon taglio e in agiate pensioni arrotondate con incarichi parlamentari e di governo, sono ora tornati in prima linea per impedire che la volontà popolare che li ha nuovamente bocciati con il voto dell’8 novembre 2020 li privi definitivamente di ruoli istituzionali e li riconduca nelle sedi e nelle funzioni delle forze armate.
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