mercoledì 5 febbraio 2025
La Nobel per la Pace è in isolamento dopo l'arresto seguito al colpo di stato del 1° febbraio 2021
Un poliziotto davanti alla casa dell'ex leader birmana Aung San Suu Kyi, a Yangon: l'asta per venderla, decisa dal governo all'incredibile prezzo di 141 milioni di dollari, è andata deserta per terza volta

Un poliziotto davanti alla casa dell'ex leader birmana Aung San Suu Kyi, a Yangon: l'asta per venderla, decisa dal governo all'incredibile prezzo di 141 milioni di dollari, è andata deserta per terza volta - Ansa

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Un anno di tentativi infruttuosi per arrivare a un incontro con la madre ma ancora Kim Aris, figlio della Premio Nobel per la Pace e riferimento dell’impegno nonviolento dei birmani per i diritti e la democrazia Aung San Suu Kyi, non ha abbandonato la speranza. Nei giorni scorsi in un'intervista a ChannelNewsAsia ha chiesto al mondo di non dimenticare lei e la popolazione del Myanmar vittima della giunta militare che la opprime da quattro anni.

Il messaggio ricevuto nel gennaio 2024, ma di cui solo un anno dopo Aris ha deciso di parlare, è stato l’unico da quando, con il colpo di stato del primo febbraio 2021 che ha messo fine a un decennio di ricostruzione democratica del Myanmar, Aung San Suu Kyi è stata arrestata e isolata come buona parte della leadership del Paese e della sua Lega nazionale per la democrazia. Più di altri sottoposta a procedimenti giudiziari che potrebbero impedire a lei, quasi ottantenne, di ritrovare la libertà in vita. Un accanimento che è strumento di pressione per cercare di associarla al potere militare approvando elezioni-farsa che la giunta guidata dal generale Min Aung Hlain vorrebbe ma che la resistenza armata e le continue sconfitte delle truppe sul territorio impediscono, costringendo a prorogare di sei mesi in sei mesi la legge d’emergenza.

«Non ha potuto dire molto in quella lettera, perché sappiamo che la nostra corrispondenza viene letta e censurata» osserva il 48enne Kim Aris, il minore dei due figli nati dal matrimonio fra Aung San Suu Kyi e lo storico britannico Michael Aris scomparso per malattia nel 1999. «Conosco tuttavia le condizioni in cui viene detenuta, so che soffre il freddo e soffre il caldo e che ha costanti problemi di salute», ha proseguito Aris ricordando: «Ho mandato lettere e materiale sanitario, ho chiesto di incontrarla di persona in quanto suo diritto umano, ma tutti i miei tentativi non hanno avuto risposta».

Dichiarazioni che sono un atto di accusa verso i persecutori della Premio Nobel e una manifestazione di affetto e vicinanza costanti. Anche di impegno a non lasciare che le condizioni della madre e la situazione birmana vengano ignorate e dimenticate. Ancor più in giorni in cui la disumanità delle azioni dell’esercito contro i civili si manifesta con notizie di decapitazioni e mutilazioni nella regione di Sagaing.

Nessuno ha più visto Aung San Suu Kyi al di fuori dal carcere dove si tengono i processi a porte chiuse, che hanno finora portato a 33 anni di prigionia anche se ridotti di sei con un atto di clemenza. Se lui, dice Kim Aris, può «solo immaginare» che quello che la madre sta passando è «molto peggio» di quello che lui sta passando, non si può ignorare che anche «la popolazione birmana si trova in condizioni molto peggiori».

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