lunedì 26 giugno 2017
La Corte Suprema ha temporaneamente dato il via libera al divieto di ingresso per chi proviene da 6 Paesi islamici e non ha parenti o amici negli Usa
Raduno di manifestanti davanti alla Corte suprema che esamina il Muslim ban di Trump (Ansa)

Raduno di manifestanti davanti alla Corte suprema che esamina il Muslim ban di Trump (Ansa)

COMMENTA E CONDIVIDI

L’Amministrazione Trump ha messo a segno una prima importante vittoria. Ieri, ultima giornata della sessione prima della pausa estiva, la Corte Suprema Usa ha temporaneamente dato il via libera al divieto di ingresso negli Stati Uniti (travel ban) per coloro che provengono da sei Paesi a maggioranza islamica. Anche se in una versione parziale. Il massimo organo giuridico americano si è riservato di prendere in esame il caso in autunno, ricordando comunque che allora la situazione potrebbe essere diversa.

Nel frattempo, però, a partire da giovedì (ovvero dopo 72 ore dalla decisione della Corte) la misura voluta dal presidente Donald Trump, che ha accolto la notizia come «una vittoria chiara per la sicurezza nazionale», entrerà in vigore. Con una clausola, però: il bando ai visitatori provenienti da Libia, Iran, Somalia, Sudan, Siria e Yemen potrà essere implementato solo in mancanza della «relazione con una persona o entità negli Usa sostenuta in buona fede». Familiari o amici di residenti negli Usa, personale di società statunitensi e studenti iscritti a università americane, anche se provenienti dai sei Paesi in questione, potranno quindi ottenere il visto d’ingresso. Un «compromesso », dunque.

Secondo il Washington Post tre giudici conservatori (Clarence Thomas, Samuel Alito e Neil Gorsuch) avrebbero votato a favore dell’adozione completa del “muslim ban”, perché l’aver previsto singole eccezioni al divieto di ingresso lascia ora «il peso ai funzionari di decidere, in caso di contesa, se gli individui dalle sei nazioni che vogliono entrare negli Usa hanno una connessione sufficiente ad una persona o ad un’entità in questo Paese». Una questione che potrebbe portare a un «fiume di cause legali», anche se, secondo i giudici allineati con l’Amministrazione, alla fine la Corte Suprema darà ragione a Trump.

Nel documento reso pubblico ieri, infatti, si è fatto chiaro riferimento all’utilizzo del bando come misura di sicurezza del Paese ed è lungo questa linea che la Corte Suprema potrebbe leggere l’intera questione. Basti pensare che la decisione di ieri autorizza l’entrata in vigore anche del bando d’ingresso per 120 giorni per tutti i rifugiati dei sei Paesi a maggioranza islamica (a meno che non abbiano parenti o amici da cui recarsi). Un elemento che coinvolge anche i cristiani siriani che, come le altre minoranze religiose, erano esclusi dalla prima versione del bando, ma il cui stato preferenziale è stato eliminato nella revisione di marzo. La versione «politicamente corretta» – come definita da Trump – ha eliminato i riferimenti religiosi.

La questione è però ancora aperta: una corte d’appello continua a considerare il bando discriminatorio contro i musulmani, un’altra lo ritiene contrario alle leggi sull’immigrazione. In attesa della decisione dalla Corte Suprema in autunno, le controversie, quindi, proseguono, con l’appello del direttore di Amnesty International, Margaret Huang, per l’intervento del Congresso: il bando «creerà caos negli aeroporti e, invece di mantenere la sicurezza, demonizza milioni di innocenti».

Trump – che in un altro caso sta lottando per rimpatriare 114 cristiani iracheni che, giunti negli Stati Uniti nel 2003 quali rifugiati in fuga dalla guerra civile in Iraq, sono stati recentemente arrestati, ma fortunatamente sono stati "salvati" da un giudice di Detroit che ne ha temporaneamente bloccato l'espulsione – ha lodato la Corte Suprema sostenendo ieri di «non poter permettere l’ingresso a chi vuole far del male agli americani», ma non si è espresso su altre due decisioni dei nove giudici: il diritto dei genitori gay di porre il proprio nome sul certificato di nascita dei figli adottivi e l’intenzione di prendere in esame il caso di una coppia gay a cui fu rifiutata la vendita di una torta per il loro matrimonio.

I vescovi: la decisione avrà conseguenze umane

"La decisione della Corte Suprema avrà conseguenze umane". Lo ha affermato monsignor Joe Vasquez, vescovo di Austin e presidente della Commissione episcopale Usa per i migranti, riguardo alla decisione presa dall'Alta Corte degli Stati Uniti. I giudici, che torneranno ad esaminare il provvedimento a ottobre, ma intanto il decreto di bando si applica a chi non ha e non può dimostrare legami ("bona fide relationship") con una persona o con una entità negli Usa.

"I miei confratelli vescovi e io - scrive Vasquez, citato dall'agenzia Sir - apprezziamo la sentenza della Corte che consente a coloro
che hanno un rapporto di 'bona fidè con una persona o un'entità negli Stati Uniti di continuare ad arrivare, siamo profondamente
preoccupati, però, per il benessere di molte altre persone vulnerabili per le quali ora non è consentito di arrivare e trovare protezione", in particolare "chi fugge dalla persecuzione religiosa e i bambini rifugiati non accompagnati".

I vescovi chiedono pertanto un riesame del programma rifugiati e che questo riesame includa gli operatori che lavorano nei servizi ai rifugiati e gli esperti di immigrazione e sicurezza nazionale. "Riteniamo fondamentale utilizzare la massima competenza", nel corso di "una valutazione così importante".

© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: